Amazon e non solo. Avanza la lotta nella logistica
Mentre in Alabama, il 29 marzo, i lavoratori dello stabilimento Amazon di Bessmer votavano, per la prima volta, se fare entrare il sindacato o meno, il 22 marzo in Italia entravano in sciopero, per la prima volta, i lavoratori dell’intera filiera Amazon, qualche giorno prima dello sciopero generale di tutto il settore. Due eventi che affondano le loro radici nell’economia reale e che sono il sintomo di una dinamica di sviluppo della lotta di classe più generale.
Amazon regna nella pandemia
Dal marzo 2020 l’intero settore della logistica è stato travolto dagli effetti della pandemia, e Amazon l’ha fatta da padrone, in tutto il mondo. L’emergenza sanitaria con lockdown e chiusure ha impresso una crescita senza precedenti ed esponenziale a tutto il settore del commercio online (+31% sul 2019, fonte PoliMi), e di conseguenza della logistica. Una mole di lavoro che si è inevitabilmente tradotta in un aumento vertiginoso delle pressioni aziendali sui lavoratori, sia nei magazzini che per gli addetti alle consegne.
Il gigante dell’e-commerce detiene la quota principale del mercato mondiale (41%) e nel 2020 ha aumentato il proprio fatturato netto del 37%, passando dai 280 miliardi di dollari del 2019 a 386 miliardi. A questo è corrisposto un aumento degli investimenti, in particolare nella forza lavoro, che con 400mila nuove assunzioni ha portato Amazon a diventare uno dei principali datori di lavoro al mondo, con 1,2 milioni di lavoratori impiegati. Generalmente Amazon assume personale diretto principalmente per la gestione dei magazzini, mentre per le consegne si avvale di tutta una serie di aziende esterne, appalti che generano un indotto molto folto. In Italia Amazon impiega poco più di 9mila addetti nei propri magazzini (di cui 2600 assunti nel 2020), ma l’indotto complessivo ne conta più di 40mila. Sia nei magazzini che negli appalti l’utilizzo di personale interinale a tempo determinato è selvaggio, tanto che Amazon è stata condannata nel 2018 per aver assunto più di 1.300 lavoratori attraverso agenzie, superando il limite fissato dal contratto nazionale.
Amazon è inoltre l’azienda che più investe nell’implementazione di nuove tecnologie per controllare i lavoratori e spremerli sempre di più, per alzare costantemente il tasso di produttività. Così facendo detta legge nel settore. Sostanzialmente, chi vuole stare sul mercato si deve adeguare. Quando Amazon ha introdotto la consegna standard e gratuita (per gli abbonati) in un giorno, questa è presto diventata la prassi. Così come il lavoro domenicale, anche questo ormai la norma nel settore. Ma l’elenco è lungo.
Sfruttamento e lotta di classe
È stato proprio lo sfruttamento sempre più intensivo dei lavoratori, con ritmi sempre più forsennati, l’allungamento delle giornate lavorative ma soprattutto un fortissimo turnover, a permettere la crescita imponente del settore, in doppia cifra già prima della pandemia (2018 +17%, 2019 + 19%). Semmai, l’effetto che ha avuto la pandemia è stato quello di rallentare il turnover, essendo diventato più difficile trovare alternative. La forza lavoro è diventata un po’ più stabile, oltre ad assorbire quella in uscita dalle ristrutturazioni aziendali e dalle chiusure di altre attività, mentre sono aumentati a dismisura i ritmi e carichi di lavoro. Un aumento della pressione che ha funzionato da molla per una crescente conflittualità e sindacalizzazione.
Il voto nei magazzini di Bessmer in Alabama del 29 marzo è importante perché è la prima volta che i lavoratori riescono a imporre il voto ad Amazon, un’azienda la cui condotta antisindacale è ben nota, dai licenziamenti mirati all’impiego di agenzie private per contrastare con ogni mezzo i tentativi di sindacalizzazione. Negli Usa il voto è necessario per legge affinché il sindacato sia riconosciuto dalla controparte e quindi possa entrare in azienda. Anche se alla fine, sotto le minacce e il ricatto padronale, ha prevalso il No, si tratta di un passo in avanti che segnala una tendenza generale alla radicalizzazione e all’organizzazione.
Lo sciopero in Italia ha rappresentato il primo tentativo di andare oltre i confini di Amazon stessa, chiamando allo sciopero tutta la filiera, quindi tutti i lavoratori degli appalti esterni e i somministrati dalle agenzie interinali. Un passo importante perché come dicevamo sulla frantumazione del settore i signori padroni (non solo Amazon quindi) hanno prosperato. La riunificazione, che non può che passare attraverso l’internalizzazione di tutti gli appalti, è una rivendicazione fondamentale per ridare forza ai lavoratori.
Rispondere all’offensiva padronale
I due tavoli di trattativa, Amazon e contratto nazionale, sono stati interrotti dalle aziende quasi in contemporanea e le richieste dei padroni sono talmente inaccettabili da tradire facilmente la volontà di non voler rinnovare un bel niente. In un periodo di crescita e grandi profitti preferiscono andare dritto e non concedere nulla ai lavoratori, in materia salariale ma soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, ritmi, tempi e sicurezza. Oggi non solo è normale lavorare di domenica ma i tempi di lavoro sono ben oltre il tollerabile, con gravi rischi per la salute dei lavoratori.
Eppure è proprio la crescita del settore, insieme alla disponibilità dei lavoratori alla mobilitazione, come dimostra la buona riuscita degli scioperi, a rendere possibile raggiungere miglioramenti importanti. Il 29 lo sciopero ha mostrato la disponibilità dei lavoratori a mobilitarsi, ma anche una gestione formale da parte dei dirigenti sindacali confederali, che lo hanno concepito e organizzato più come un atto dimostrativo che come l’inizio di una battaglia da condursi fino in fondo. A questo si è sommato il disimpegno di quei sindacati di base che, avendo conquistato un radicamento in alcuni segmenti della categoria, in genere magazzinieri, li considerano una realtà autosufficiente e vedono con ostilità la prospettiva di una battaglia generale che unifichi la categoria.
Ma, come spiegato, è proprio lo sviluppo del settore a creare le basi per nuove mobilitazioni, che uniscano i lavoratori di tutto il settore, anche a livello internazionale, avanzando proprio in questo terreno dove la pandemia ha messo in luce nel modo più acuto contraddizioni che in realtà coinvolgono l’insieme della classe lavoratrice.