Basta con lo sfruttamento: il lavoro non è una competizione al ribasso!
Il comparto delle pulizie, servizi integrati e multiservizi rappresenta circa 600mila persone, senza contare chi lavora in nero. Il 70% sono donne. Poche sono le grandi aziende e una miriade le piccole imprese. Il ccnl è tra i più poveri in assoluto, fermo da sette anni e mezzo.
Se la componente principale sono le lavoratrici delle pulizie, questo ccnl sta prendendo piede anche in altre figure come gli operatori culturali, del verde, i portieri nelle università, gli addetti alla reception, gli addetti a funzioni di imballaggio, confezionamento e pulizia dei macchinari nella catena di produzione dell’industria, i tecnici della manutenzione di impianti elettrici, termici, idraulici, i centralinisti, i fattorini, i servizi amministrativi come la gestione delle fatture. E l’elenco sarebbe molto lungo perché il multiservizi tendenzialmente “va sempre bene”.
I padroni e gli enti pubblici ricorrono sempre più all’esternalizzazione di parti della produzione ed il ccnl multiservizi è molto utile perché costa pochissimo rispetto agli altri, che invece rappresenterebbero in modo necessario il comparto dove questi lavoratori andrebbero inquadrati. Si finisce quindi per avere sotto lo stesso tetto lavoratori di “serie A” e di “serie B”, alcuni dei quali svolgono le medesime mansioni dei “colleghi” tutelati e pagati maggiormente, alimentando inoltre paure, divisioni, recriminazioni, soprusi. Queste squallide operazioni padronali si nascondono spesso dietro alla falsa giustificazione che il personale addetto svolgerebbe mansioni ausiliarie o integrate rispetto all’attività produttiva considerata prevalente.
Lo scorso 13 novembre c’è stato lo sciopero nazionale dei lavoratori per il rinnovo del ccnl. Secondo le OO.SS. confederali, l’adesione è stata massiccia, soprattutto nel settore delle pulizie.
L’attività del pulimento riguarda essenzialmente personale femminile. Molte di loro sono immigrate e sottoposte al ricatto delle norme vigenti. E’ un settore dove la mobilità sociale è praticamente inesistente , poiché gli avanzamenti di carriera sono insignificanti e non si sviluppano competenze riutilizzabili in altre mansioni. Una lavoratrice neoassunta riceve circa 7 euro lordi all’ora e dopo quattro anni riceve qualche centesimo in più; sostanzialmente la carriera finisce qui.
Se “l’ascensore sociale” è un miraggio, i part-time involontari sono la consuetudine. Il personale non di rado ha contratti di lavoro con più padroni, con orari spezzettati e con i relativi disagi per raggiungere i vari cantieri. Solitamente un singolo contratto di lavoro non supera le 20-25 ore settimanali. Sono pochissimi i casi di full-time e con 600 euro lordi (20 ore) non si tira avanti senza sussidi, lavoro in nero o straordinari.
I part-time derivano da una questione molto concreta per i padroni, che è la produttività del lavoro. Il costo per metro quadrato è la legge dei loro ragionamenti per fare profitto: o si aumenta l’intensità del lavoro impiegando lo stesso tempo (e quindi lo stesso salario) per una maggiore superficie da pulire o si diminuisce il tempo da dedicare (e quindi da pagare) a parità di superficie.
Una lavoratrice che pulisce otto ore in una giornata non riesce a coprire la stessa metratura con lo stesso tempo rispetto a due persone che lavorano quattro ore ciascuna perché una sola persona si stanca prima. E’ quindi necessario concentrare il lavoro in poche ore di seguito, poi fare una pausa ed eventualmente riprendere un altro turno o aspettare il giorno successivo di lavoro. Le loro condizioni di vita ed i loro rapporti sociali e familiari sono dettati dalle esigenze d’impresa.
In secondo luogo avere un contratto di lavoro di poche ore permette ai padroni di approfittarsi delle difficoltà sopportate dalle lavoratrici che hanno un salario insufficiente, perché queste si renderanno disponibili ad ulteriori lavori ad ogni ora e in condizioni irregolari pur di guadagnare qualche altro soldo per sé e per la propria famiglia, nonostante il logorio del proprio fisico e spesso l’ulteriore carico del lavoro domestico.
Il settore è uno dei pochi servizi che durante la pandemia non ha avuto un crollo del fatturato, poiché le sanificazioni sono state rese obbligatorie dalle norme e dai protocolli sanitari ed infatti le agenzie per il lavoro hanno registrato negli scorsi mesi un aumento del 70% di richieste per assumere personale.
Se nel settore privato non ci sono particolari vincoli per la scelta di un’impresa appaltatrice, nel settore pubblico l’esternalizzazione ha maggiori prescrizioni, che però spesso non sono rispettate a causa dei tagli alla spesa, di condizioni contrattuali imprecise, dei prezzi calcolati a forfait e dell’ancora presente ghigliottina del massimo ribasso. In linea teorica, essendo le pulizie un servizio ad alta intensità di manodopera, le aggiudicazioni degli appalti pubblici dovrebbero essere tutte eseguite secondo una valutazione qualitativa delle offerte proposte ma in realtà si trovano spesso escamotage per rendere determinante solo il ribasso. Si capisce quindi perché ogni cambio appalto sia vissuto dal personale con preoccupazione.
I padroni sostengono che il servizio di pulizia nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali sia essenziale e come per i lavoratori del pubblico impiego sono previsti dei contingenti minimi di personale che non può scioperare. Nel corso della prima ondata del Covid-19, gli operatori sono stati gettati allo sbaraglio, causando una lunga catena di contagi alimentata anche dall’assenza di dispositivi di protezione individuale, tamponi e prodotti sanificanti. Cosa hanno ricevuto finora in cambio queste persone, prima sollecitate e poi stremate sia fisicamente sia psicologicamente? I dipendenti pubblici un’ipocrita pacca sulla spalla mentre le lavoratrici delle pulizie non hanno ricevuto nemmeno quella, tant’è che i padroni vogliono pure togliere loro il pagamento dei primi tre giorni di malattia. E’ vergognoso inoltre che il settore delle pulizie, così a rischio e con una difficoltà da parte dei pochi rls a visitare i moltissimi cantieri sparsi sul territorio, non abbia ancora un protocollo nazionale per la prevenzione ed il contenimento del virus a difesa dei lavoratori.
La rabbia per non essere considerate parte integrante di un sistema che si occupa della salute delle persone è stata uno degli elementi che più è risaltato nei presidi del 13 novembre. Una rabbia che è parte del malcontento generale sempre più forte che si sta cristallizzando nella classe lavoratrice. Il sindacato deve cogliere questo malessere per costruire una mobilitazione generale dal basso, efficace contro Confindustria e i suoi vassalli. La reinternalizzazione dei servizi appaltati deve essere parte di questa lotta altrimenti questi lavoratori continueranno a rimanere isolati e le esternalizzazioni saranno utilizzate dai padroni come minaccia costante verso i lavoratori “maggiormente” garantiti. Ogni categoria della Cgil deve farsi carico di questa rivendicazione.
Dagli scioperi dei lavoratori metalmeccanici e delle pulizie e dallo sdegno dimostrato dai lavoratori dei servizi sanitari e socio-assistenziali è arrivato un segnale chiaro: la classe lavoratrice sta tornando in campo perché non ne può più di pagare il prezzo della crisi. Unendo ed organizzando le forze, la classe lavoratrice può fermare questo scempio e riprendersi quello che le è stato rubato da un sistema economico che risponde solo ai bisogni di una minoranza di immeritevoli privilegiati.