Alcune osservazioni (critiche) sul XIX Congresso della CGIL

Alcune osservazioni (critiche) sul XIX Congresso della CGIL

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un compagno sul congresso della Cgil.

In questi giorni si stanno svolgendo molte assemblee di base del XIX congresso della CGIL, siamo di fronte ad un sensibile calo degli iscritti alla Confederazione per la prima volta scesi sotto i 5 milioni, ma che rimane comunque la più grande organizzazione di massa della classe lavoratrice, compresi i lavoratori in quiescenza, in Italia.

Il congresso si svolge sulla base di due documenti alternativi, ma questo avviene già da alcuni congressi consecutivi.

In queste assemblee si evidenzia un dato inconfutabile: presenze in diminuzione, pochi interventi dopo le relazioni dei presentatori dei due documenti congressuali., una disinformazione sul contenuto dei medesimi che vengono distribuiti in molti casi all’inizio delle assemblee, quindi senza che i partecipanti ne abbiamo preso visione prima.

Il congresso dovrebbe essere il momento più alto del confronto politico per i lavoratori all’interno della propria organizzazione, nulla di tutto questo c’è una disabitudine alla discussione su temi più generali che vanno al dilà delle problematiche della singola azienda. Tutto questo coinvolge anche i delegati e quel che è peggio il gruppo dirigente della confederazione non fa nulla per invertire la rotta, anzi sembra avere l’interesse contrario. Così si spiega il fatto che questo stesso gruppo dirigente, che sostiene il primo documento “Il lavoro crea il futuro” non presenti, in presenza di un arretramento delle condizioni materiali della classe lavoratrice e con una prospettiva di un ulteriore peggioramento, un bilancio anche critico dell’azione sindacale nei quattro anni trascorsi dal precedente congresso. L’essenza del primo documento è “abbiamo fatto tutto quello che potevamo”,

questo approccio finisce per scaricare sui lavoratori tutta la responsabilità degli arretramenti accumulati, si diffonde l’idea fra molti quadri sindacali  che si fanno le piattaforme rivendicative, si proclamano gli scioperi ma i lavoratori non ci seguono compattamente.

In questo modo non si mette mai in discussione il tenore di certi accordi con le controparti firmati

frettolosamente, smobilitando la lotta, prima ancora di una democratica e capillare consultazione fra i lavoratori stessi.E’ evidente che questa prassi a lungo andare logori la tenuta dei lavoratori, che pagano pesantemente sul proprio salario con le trattenute la partecipazione alla lotta.

Questo genera sfiducia nella propria organizzazione sindacale fino anche all’abbandono.

Ma veniamo ora ad alcune considerazioni critiche su alcuni temi, solo alcuni, trattati nel documento presentato dal gruppo dirigente dell CGIL.

Sul tema della guerra in Ucraina. Non è condivisibile quanto scritto e cioè che l’aggressore e responsabile della guerra è la Russia di Putin, fatto di per se incontestabile, ma sottacere completamente le responsabilità e le mire imperialistiche degli USA tramite la NATOe con l’allineamento del tutto subalterno dell’U.E.. Non basta dire no all’invio di armi all’Ucraina ed occultare le vere responsabilità che stanno dietro a questo conflitto armato comprese quelle del governo reazionario di Kiev. Così facendo non si dà un contributo alla fine del conflitto , che principalmente un rifiuto della guerra da parte delle masse popolari può determinare.

La posizione espressa dai compagni della maggioranza è usando una definizione benevola “moralistica e non politica”.

Un altro punto che merita una riflessione è quello che riguarda la “prassi sindacale”.

I compagni sottoscrittori del primo  documento affermano che non siamo in una fase per un “nuovo patto sociale” non ve ne sono le condizioni, bisogna aprire una nuova fase di vertenze. Condividiamo. Ma nello stesso tempo affermano che la concertazione non va abbandonata, cambia la sua modalità dove sindacato, imprese e governo ognuno per la propria parte si impegnano per un fine comune che è quello del rilancio produttivo, della lotta alla precarietà, alla salvaguardia del sistema pubblico previdenziale e sanitario. In che cosa concretamente si traduca questa nuova fase concertativa rimane assai nebuloso.

Nessuno nega che il sindacato faccia trattative e che anche le tramuti in  accordi, ma tutto dipende da quali rapporti di forza hai saputo creare con il consenso dei lavoratori e non prevaricando la loro opinione.

Infine disegnare una prospettiva dove tutti concorrano a quel fine comune di cui sopra, dopo decenni di attacchi alle condizioni dei lavoratori, dopo che si sono spostate ingenti ricchezze dai salari ai profitti, dopo che l’innovazione tecnologica impetuosa che si è registrata soprattutto negli ultimi trent’anni  ha redistribuito poco o niente alla classe lavoratrice e con l’inflazione in doppia cifra che si sta registrando in questo periodo, con un debito pubblico che con il rialzo dei tassi di interesse e la prospettiva di una profonda recessione sta andando fuori controllo non per un breve periodo ma per una fase storica molto lunga anche secondo le stime del FMI , ci sembra francamente una utopia riformista di basso livello.

Quello che realisticamente possiamo aspettarci da qui in avanti sono ulteriori attacchi alla condizioni dei lavoratori poiché prima o poi il “Patto di stabilità” tornerà in essere , anzi nell’agenda della UE è previsto che ritorni in essere nel 2024, e con esso le politiche di austerità.

Altro punto la “ricetta” per la democrazia economica e gli investimenti.

Pilastro fondamentale della “democrazia economica” dovrebbe essere “l’informazione preventiva”,

vale a dire una comunicazione pressochè costante dei piani aziendali tra proprietà, management, sindacati e lavoratori. Ci si dimentica che siamo in regime capitalistico dove è imperante una subordinazione del lavoro salariato al capitale, dove per ragioni di concorrenza fra capitali questi piani sono tenuti gelosamente nel cassetto fino a che non viene il momento di renderli operativi e quindi di renderli pubblici, a tale fine esistono normative che tutelano giurudicamente questa “privacy del capitale”, in Europa fanno riferimento al M.A.R. acronimo di Market Abuse Regulatory, che mirano appunto a tutelare questo tipo di piani ed informazioni per garantire, come affermano i regolatori della UE l’integrità dei mercati da abusi di varia natura.

La valorizzazione e l’umanizzazione del lavoro umano passa per altre vie che mettono in discussione i rapporti di proprietà e non per i fumosi sentieri dell’informazione preventiva.

Rimane difficile da credere che i lavoratori possano mobilitarsi e scioperare per “l’informazione preventiva”.

Per quanto riguarda gli investimenti si prospetta l’intervento dello Stato anche attraverso una nuova implementazione del Recovery Plan europeo_ Non si nega la necessità di un intervento pubblico in generale ma per quali fini ed a vantaggio di chi? Bisogna inoltre sapere che questa tipologia di intervento che va a raccogliere denaro sul mercato dei capitali genera un aumento del debito pubblico, su chi grava principalmente l’onere della sua sostenibilità finanziaria? Chi contribuisce maggiormente alle entrate fiscali del bilancio statale? La risposta la conosciamo già: sono i lavoratori. Pasti gratuiti non ce ne sono.

Infine sempre in tema di investimento l’ultimo periodo del primo documento dice testualmente:

“Infine occorre rilanciare le adesioni alla previdenza complementare negoziale, rendendola effettivamente accessibile anche a chi lavora nelle piccole imprese e ai giovani, attraverso l’avvio di un nuovo semestre di silenzio assenso e adesione informata, la riduzione fiscale sui rendimenti un maggiore sostegno agli investimenti nell’economia reale del Paese da parte dei fondi pensione negoziali”.

Su questo punto occorre fare alcune precisazioni.

Lo strumento del silenzio assenso col conferimento del TFR nei Fondi pensione negoziali è stato uno strumento antidemocratico per eccellenza col quale un lavoratore se non esprimeva formalmente la propria contrarietà ci  finiva dentro senza la possibilità di revocare questa adesione forzosa. Quanto all’adesione informata sappiamo bene di quale tenore sia stata ed eventualmente sarà   , assai carente che non chiarisce le modalità gestionali di questi strumenti finanziari.

Se la memoria non ci inganna Maurizio Landini attuale segretario generale della CGIL a quel tempo,parliamo del governo dell’Unione con Romano Prodi, era contrario, cosa gli ha fatto cambiare idea?    

Per quanto riguarda la riduzione fiscale dei rendimenti occorre sottolineare che i Fondi pensione quelli negoziali, quelli aperti ed i PIP (piani individuali previdenziali) già fruiscono di una tassazione ultra agevolata sia in fase di accumolo e gestione delle risorse conferite, sia in fase di erogazione della rendita, tutta rendita o parte rendita e  parte capitale. Pensare di ridurre ulteriormente il vigente sistema di tassazione solo per i fondi negoziali ci sembra improponibile.

Ma la considerazione principale è che questa tipologia di fondi pensionistici è concorrenziale rispetto al sistema previdenziale pubblico che si dice di volere tutelare. E’ una contraddizione palese.

Un’ultima considerazione: si dice di indirizzare i Fondi negoziali anche negli investimenti nell’economia reale. Che cosa sono questi investimenti? L’economia reale è quel settore del tessuto produttivo del Paese costituito da piccole e medie imprese che non sono quotate sui mercati regolamentati. Si tratta di investimenti molto concentrati attraverso strumenti finanziari di Private Equity, Venture capital e Private Debt che investono attraverso i cosiddetti “Fondi Chiusi”, sono investimenti di medio e lungo termine che a fronte di un rendimento atteso molto elevato ( il doppio ed anche il triplo rispetto a quello dei mercati regolamentati, hanno anche un rischio elevato e concentrato. Vale l’affermazione di prima non esistono pasti gratuiti. Esistono anche i PIR (piani individuali di risparmio che investono per almeno il 70% del loro patrimonio in questa tipologia di imprese e per i quali la normativa attuale prevede per una durata dell’investimento di almeno cinque anni con un accumulo massimo annuale di 300.000 euro e per un totale massimo di 1.500.000 di euro la completa esenzione dalla tassazione sia per i redditi di capitale (cedole e dividendi), sia per il capital gain, sia per le successioni. Un bel regalo non c’è che dire per chi ha tanto denaro da investire.

Compagno Landini sarebbe questa la lotta alla evasione ed elusione fiscale, in questo caso legalizzata?

Franco Ferrara

Genova 22 Novembre 2022  

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