Contratto Metalmeccanici:
Federmeccanica offre una polpetta avvelenata, bisogna riprendere la mobilitazione.
Dopo le prime 6 ore di sciopero organizzate nelle scorse settimane dai metalmeccanici, giovedì scorso 26 novembre è ripreso il tavolo di trattativa tra sindacati e Federmeccanica con quest’ultima che ha avanzato una propria contro-piattaforma. Se grazie al successo degli scioperi il padronato è stato costretto ad abbandonare la linea della totale chiusura, il testo presentato più che una mediazione ha il sapore della polpetta avvelenata.
Il problema centrale non è solo che gli imprenditori offrono poco. Il punto di fondo è che viene proposto un impianto tale da cambiare definitivamente natura e ruolo al contratto nazionale. Non a caso infatti Confindustria vuole diventi non più il contratto “di lavoro” ma “per il lavoro”. Dietro a questo cambio di preposizione si nasconde la volontà di modificare il terreno di gioco e trasformare il contratto nazionale da strumento di tutela dei diritti dei lavoratori in strumento funzionale alla competitività delle imprese. Diritti e salario devono diventare dunque fattori subordinati alle esigenze aziendali. Si parla esplicitamente di un cambio di rapporto tra capitale e lavoro, teorizzato non più come contraddittorio e conflittuale ma collaborativo: “siamo tutti sulla stessa barca”. Facendo sempre finta di dimenticare che in questa barca c’è sempre qualcuno in coperta costretto a remare e qualcun altro che sta comodamente al timone.
La “nuova” funzione del contratto nazionale viene ben declinata nei capitoli inerenti le relazioni industriali e sindacali. Si elimina qualsiasi ruolo negoziale e contrattuale di RSU e organizzazioni sindacali cui si sostituisce una semplice informativa. Di converso si vuole “coinvolgere” i delegati Rsu facendoli sentire corresponsabili delle decisioni aziendali attraverso contorti meccanismi “partecipativi” tali da trasformarli non più in rappresentanti dei lavoratori bensì in consulenti aziendali. In questo nuovo quadro non stupisce dunque che le aziende richiedano anche l’attuazione di quelle “intese modificative” (leggasi deroghe) che anche la Fiom è stata costretta ad accettare firmando lo scorso contratto nazionale.
Questa proposta “di sistema” non cade naturalmente dal cielo ma è la diretta conseguenza dei dettami previsti dal ben noto “patto per la fabbrica” firmato dalle parti sociali nel 2018. Sulla base delle regole di quell’impianto è infatti articolata la proposta salariale avanzata dagli industriali che non corrisponde nemmeno ai 65 euro di cui si è letto sui giornali. Infatti l’aumento sui minimi tabellari non subisce alcuna variazione rispetto all’aumento IPCA ex post già stabilito nello scorso contratto nazionale. Il meccanismo di scala mobile a perdere viene dunque confermato aggiungendovi in più una cifra che per il triennio 2021-2023 porti la somma incrementale rispettivamente a 18 euro, 21 euro e 26 euro. Si badi, questa somma in più non andrà sui minimi contrattuali, ma sarà relegata in una sorta di EDR (elemento distinto della retribuzione) che non avrà alcuna incidenza sul calcolo degli istituti contrattuali (tfr, maggiorazioni ecc.). Per l’anno 2020 invece non è previsto alcun aumento, sia mai. Anche i 18 euro del 2021 in realtà sono subordinati all’andamento delle aziende. Se a causa del Covid il fatturato 2020 non sarà positivo, l’aumento 2021 sarà rimandato al biennio successivo! Alla voce contrattuale “elemento perequativo” si offre un aumento di ben 15 euro e dico 15, passando da 485 a 500 euro annui. Di questi solo la metà è per tutti coloro che non hanno un Premio di Risultato collettivo aziendale. Il resto verrebbe dato solo fino a concorrenza di superminimi e altre remunerazioni individuali. Nel caso poi l’azienda fosse in crisi, allora manco quei 250 euro; tutto resterebbe come ora. Insomma oltre ad offrire una miseria i padroni fanno pure gli spilorci sui centesimi. Il principio alla base è che il rischio di impresa viene riversato completamente sulle spalle dei lavoratori.
E’ chiaro dunque che questa contro piattaforma non solo non è neanche lontanamente sufficiente ma non è nemmeno una buona base di partenza per trattare come ha invece dichiarato al tavolo il segretario generale della Fim-Cisl. Il 1, 2 e 3 dicembre sono fissate le commissioni tecniche e il 9 dicembre il nuovo incontro in plenaria. Non è tuttavia pensabile credere, come invece è emerso durante la discussione nella delegazione trattante Fiom da diversi interventi, che si possa chiudere la trattativa “se non proprio a dicembre ma nemmeno aspettando fino alla primavera”. Su queste basi non è minimamente pensabile ipotizzare di avvicinarsi alla firma del contratto nazionale senza la prosecuzione delle lotte e la proclamazione di altri scioperi. A meno che, s’intende, Federmeccanica non rinunci in fretta al suo impianto, cosa di cui è più che legittimo dubitare. Non ci sono scorciatoie, la strada verso la firma del contratto è ancora lunga e deve essere lastricata di altre ore di sciopero e dall’assunzione della consapevolezza che fino a quando non si formalizzerà l’abbandono del patto per la fabbrica, saremo sempre sottoposti al rischio di polpette avvelenate della controparte. L’articolazione del rifiuto del modello “subordinativo” proposto dagli industriali nella loro contro piattaforma deve essere il primo passo politico in quella direzione. In questi giorni dobbiamo discutere a tutti i livelli come proseguire e meglio articolare la lotta dopo il 9 dicembre, già alla ripresa dalla chiusura natalizia delle aziende.
Un CCNL positivo per i lavoratori si firmerà tanto prima, quanto più e meglio il sindacato sarà in grado di fare una lotta incisiva da subito.