Soldi ai padroni, tagli alle pensioni

Soldi ai padroni, tagli alle pensioni

I governi Conte 1 e Conte 2 per quanto riguarda le pensioni hanno mantenuto il sistema previsto dalla Fornero, che aveva completato lo smantellamento cominciato 20 anni prima, riducendo il sistema previdenziale italiano ad uno dei peggiori d’Europa. Nel 2018, tuttavia, il primo governo Conte, aveva emanato Quota 100 che dava la possibilità a chi avesse avuto almeno 38 anni di contributi e 62 anni d’età di accedere alla pensione nel triennio 2019/21. Un provvedimento limitato ma che comunque ha dato la possibilità ad oltre 267mila persone (soprattutto uomini con una buona contribuzione) di andare in pensione nel 2019 e nel 2020.

A 6 mesi dalla scadenza di Quota 100 le vere intenzioni dell’attuale governo non sono chiare, ma la scure è pronta a colpire. Senza nuovi provvedimenti si applicherà, tout court, la legge Fornero che prevede l’accesso alla pensione di vecchiaia con 67 anni e nove mesi o con 42 anni e 10 mesi nel 2026 per coloro che raggiungeranno i 62 anni nel 2022.

Le ipotesi di modifica sono le più disparate ma nulla di buono si presenta all’orizzonte. Si va da Quota 102, lo stesso meccanismo di quota 100 ma con un’età anagrafica di almeno 64 anni, a Quota 92, un meccanismo simile all’”opzione donna”, per chi abbia almeno 62 anni d’età e 30 anni di contributi. Un’uscita molto penalizzante che prevede una decurtazione di diverse centinaia di euro al mese.

Un altra idea è quella dei contratti di espansione: si andrebbe in pensione 5 anni prima rispetto ai requisiti, ma con il sistema interamente contributivo, un assegno più leggero di un quarto, la mancata maturazione del Tfr in quei 60 mesi e una perdita economica che può arrivare a 80mila euro. Sarebbe l’ennesima concessione al padronato e a Confindustria che vuole espellere dalle aziende i lavoratori più anziani per sostituirli con precari più ricattabili. Questa richiesta va di pari passo a quella di modificare il “decreto dignità” che, per quanto molto debole, fornisce qualche piccola garanzia.

Una proposta simile è stata avanzata da Brunetta anche per i lavoratori pubblici: calcolo interamente contributivo o una importante penalizzazione sull’assegno.

La risposta del sindacato è debole, per usare un eufemismo. Nella piattaforma di Cgil Cisl Uil, infatti, si chiede la possibilità di andare in pensione a 62 anni o 41 di contributi con una non chiara flessibilità che, in qualche modo, legherebbe il calcolo della pensione alla decisione del singolo lavoratore su quando accedervi; il riconoscimento dei lavori gravosi e il rafforzamento della previdenza complementare. Un sistema, quello della previdenza privata, che in questi decenni ha contribuito a smantellare il sistema pubblico. Nel contempo, la minaccia di mobilitare i lavoratori se il governo non riapre il confronto.

La lotta deve essere vera e non va solo minacciata. Dobbiamo rivendicare l’abolizione della legge Fornero, una pensione pubblica e dignitosa dopo 35 anni di lavoro, o a 60 anni d’età, con una pensione corrispondente all’80% dell’ultimo stipendio. E se diranno che non ci sono soldi gli ricorderemo i 248 miliardi che, attraverso il Pnrr, distribuiranno nei prossimi anni ai padroni.