Su pensioni, salari e occupazione non si tratta, si sciopera!
Nell’approvazione della legge di bilancio il governo è andato avanti come un treno. I tavoli con i vertici sindacali sono stati esclusivamente di facciata. Su fisco, carovita, salari, sanità, scuola e, in generale, sulle politiche economiche, il governo redistribuisce la ricchezza al contrario, come sempre: toglie ai meno abbienti e dà alle imprese e ai ricchi.
Lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil contro queste politiche il 16 dicembre scorso è stato sacrosanto. In realtà erano diversi i settori non coinvolti, dai lavoratori di sanità e Rsa a quelli dell’igiene ambientale. La scuola aveva scioperato la settimana prima. Anche la Fiom in molte regioni aveva proclamato lo sciopero dei metalmeccanici il 10 dicembre per poi spostarlo al 16. Il balletto delle date ha creato non poca confusione.
Nonostante ciò 50mila lavoratori sono scesi in piazza a Roma, 20mila a Milano, quasi 10mila a Bari, diverse migliaia a Palermo e Cagliari. Tante fabbriche, uffici, cantieri e supermercati, trasporti hanno funzionato poco e nulla, confermando che è quando si muove il principale sindacato del paese che vediamo vere mobilitazioni di massa e che lo sciopero è stato un successo, nonostante lo scarso impegno di parte dell’apparato sindacale, in alcuni casi al limite del boicottaggio. Diversi sono i casi di luoghi di lavoro nei quali non è stato consegnato nemmeno un volantino in cui si informava dello sciopero.
Condizioni sempre più insostenibili
Lo sciopero del 16 dicembre ha mostrato che potenzialmente esistono determinazione e forza per una mobilitazione in grado di invertire la rotta. Ma il punto è come invertire questa rotta e con quale piattaforma. Perché è evidente che i motivi per cui questo sciopero era stato convocato sono ancora tutti sul tavolo, anzi giorno dopo giorno aumentano.
L’inflazione sta divorando i già magri salari (tra i più bassi d’Europa). Secondo l’Istat mancano ancora 215mila occupati per raggiungere il livello precedente alla pandemia, ma i contratti a termine hanno già abbondantemente superato i livelli prepandemici, sfondando il tetto dei tre milioni. La nuova recrudescenza del contagio non ha nulla da invidiare a quella degli ultimi due anni, eppure nonostante le proteste del sindacato il blocco dei licenziamenti non è stato reintrodotto.
I dati del Ministero dello sviluppo economico dicono che attualmente ci sono oltre 91mila posti a rischio, ma si tratta di dati sottostimati visto le ulteriori ricadute che porterà la nuova ondata pandemica, in particolare su turismo, ristorazione e spettacolo.
La rottura consumata a dicembre tra i vertici di Cgil e Uil e Draghi è stata causata dall’intransigenza del governo. La classe dominante ha voluto chiarire che non è disposta a
scendere a patti col sindacato. La borghesia ha deciso che, pandemia o non pandemia, bisogna a qualunque costo ritornare a pieno regime con la produzione. La prima grave responsabilità del vertice sindacale, a partire da Landini, è di non aver voluto mettere in campo una seria opposizione nell’autunno, a partire dallo sblocco dei licenziamenti, rendendo così il padronato ancora più aggressivo.
E adesso?
Se lo sciopero è stato importante perché ha mostrato che nel paese l’opposizione al governo Draghi spetta ai lavoratori e alle loro organizzazioni, dall’altro è stato anche un passaggio utile per chiarire che per sconfiggere Draghi non è sufficiente uno sciopero. In secondo luogo ha fatto anche chiarezza sul ruolo che gioca il vertice della Cisl, che millanta un’unità sindacale di comodo solo per moderare le già misere richieste del sindacato, ma poi sempre pronta a scattare sull’attenti quando il padrone chiama. Su queste basi la promessa “trattativa” sulle pensioni parte già compromessa, mentre quota 100 è già stata abolita.
Se non sono i vertici sindacali a prendere l’iniziativa nella scia del 16 dicembre per continuare la mobilitazione, devono essere i delegati e i lavoratori. Esattamente come fecero i lavoratori nel marzo 2020 con gli scioperi spontanei costringendo Landini su una posizione più intransigente verso governo e Confindustria.
Serve una piattaforma che risponda ai veri bisogni dei lavoratori: una vera difesa e rilancio dei salari per affrontare il tema dell’aumento delle bollette di gas, elettricità, la difesa dello stato sociale a partire da pensioni e la sanità pubblica. Nessuna fiducia sull’esito del confronto col governo sulle pensioni, nessuna fiducia nel dialogo che serve solo a sfiancare la classe lavoratrice. La legge Fornero va cancellata rilanciando una mobilitazione generale, che non si limiti a scioperi rituali, ma colpisca davvero i profitti padronali e il governo.