20 secondi son troppi… Sì, ma solo per tollerare ancora ingiustizie ai danni delle lavoratrici!
Siamo all’ennesimo caso di violenza sul luogo di lavoro, denunciata e portata fino alle sedi del tribunale, che dopo circa 4 anni si è pronunciato rigettandola perché, a detta delle tre giudici che han redatto la sentenza finale, il fatto non sussiste: “[…] Anzi, si sottolinea come la posizione dei due soggetti (la parte offesa seduta alla scrivania e l’imputato in piedi alle sue spalle) impedisse al (indagato) di percepire eventuali espressioni di contrarietà; peraltro il fatto che ella continuasse a leggere le carte avrebbe potuto oggettivamente essere percepito dal soggetto agente come accettazione delle condotte poste in essere”.
Barbara d’Astolto, hostess presso la Neos Spa, si era semplicemente rivolta al delegato Fit-Cisl per chiedere un parere circa una mancata progressione di carriera, oltre che per la difficoltà di conciliare i tempi di lavoro con quelli di famiglia, essendo anche madre di due bambine. Aveva con sé tutto l’incartamento quando si recò presso la saletta RSU di Malpensa, documentazione che il sindacalista avrebbe dovuto esaminare, ma che in realtà non fece, concentrandosi sulla donna con gesti prevaricatori e molestie vere e proprie.
Non occorre certo aver subìto violenza per capire che, a meno che non si abbia un fisico alla Arnold Schwarzenegger, il tempo di reazione ad un gesto di abuso inaspettato, spesso, comprende una certa dose di incredulità, prima di prendere consapevolezza e magari riuscire pure a reagire. Tutto questo Barbara lo ha vissuto, misto a paura, vista anche la grossa mole del sindacalista e visto che intorno a lei non c’era nessuno. E comunque, va sottolineato e messo a caratteri cubitali, che qui si parla in tutto di 20-30 secondi prima che la lavoratrice abbia reagito! Un tempo che tre giudici donne hanno trovato eccessivo per accusare l’indagato di violenza, troppo perché il malcapitato (sic!) «non fu posto nelle condizioni di apprezzare il dissenso della vittima», come si legge nella sentenza.
Una sentenza vergognosa che neppure ha tenuto conto del fatto che altre donne, prima di Barbara, avessero già segnalato quel sindacalista per gli stessi motivi. A seguito dei quali, addirittura, sia la E.T.F. (Federazione Europea dei Trasporti) che la Filt-Cgil, anni prima lo avevano messo alla porta. Anche la Cisl, che lo aveva accolto tra le sue fila, aveva promesso di togliergli qualunque incarico, con tanto di lettera datata 8 marzo 2018. Dopo soli 4 giorni, il molestatore, mantenendo invece l’incarico sindacale, incontrò l’ignara lavoratrice.
Diversi sono gli elementi che stridono e gridano vendetta in tutta questa vicenda. Certamente il tipo di sentenza che calcola una molestia sulla base del tempo di reazione della vittima, senza tener conto della sua volontà o della paura che si innesca in questi contesti e che trova conferma in tutte le testimonianze di chi ha subìto una violenza. Quell’impotenza che è anche conseguenza di una cultura che legittima i molestatori a sentirsi “predatori” nei confronti di una donna, al pari di una comunissima bestia.
Un alto dato che emerge e che aiuta a togliere il velo di ipocrisia che c’è attorno alla vulgata femminista borghese e piccolo borghese, deriva proprio da chi ha pronunciato la sentenza: tre donne che hanno preferito assolvere un recidivo e umiliare ancora quella lavoratrice che, con fatica, aveva deciso di mettere da parte stress e sensi di colpa e far prevalere il coraggio di chi difende la propria dignità. Questo fatto è l’ennesima riprova di quanto risultato portino le battaglie per la fantomatica “uguaglianza” di genere. Avere donne in posizioni di comando nelle stanze dei bottoni non è affatto garanzia contro lo sfruttamento e l’oppressione che la stragrande maggioranza del loro genere subisce quotidianamente.
Quando la violenza contro le donne si verifica negli ambienti preposti alla loro tutela è bene che questi soggetti vengano subito destituiti dai loro incarichi. Ma non basta. Nel caso della hostess c’è stata una convergenza tra sigle sindacali (Cisl e Uil, la Cgil non è presente nella RSA) non tanto per mettere a disposizione tutta la macchina organizzativa in sua difesa, ma piuttosto per fare ostracismo a lei, togliendole ogni tutela e supporto materiale, e alle colleghe, ben disposte sulle prime a sostenerla, mettendole alla porta. “Ci pensino i tribunali”, “che la legge faccia il suo corso”, si è sentito ripetere Barbara dai segretari di Uil-Trasporti. Non da meno quelli della Fit-trasporti che “si son visti costretti a destituire il sindacalista accusato perché infastiditi dal clamore mediatico”.
Ricorre in questi episodi il leitmotiv della responsabilità delle donne: in definitiva, per un motivo o per l’altro, se le vanno a cercare! Quando le violenze succedono in ambiente sindacale, ecco che si innesca pure la favola della guerra tra sigle sindacali. Lo stesso molestatore cercava di difendersi passando per vittima di un complotto sindacale!
La realtà è che la stragrande maggioranza di ‘centri per l’ascolto’, ‘sportelli donna’, ecc. esistono solo come facciata, una passata di rosa che nella sostanza non accoglie, non tutela e non supporta. La materia della violenza sulle donne è ostica e tocca tanti aspetti: legali, sociali, culturali. La sua matrice però è unica e riguarda la società capitalistica che riesce a mettere insieme un sistema intersecato di oppressione. Sistema che va combattuto con ogni arma e con il coraggio e la determinazione che lavoratrici come Barbara e molte ancora hanno dimostrato di avere.