DIRETTIVA EUROPEA SUL SALARIO MINIMO: VOGLIAMO AUMENTI SALARIALI VERI NON UN SALARIO MINIMO DA FAME!
Il 7 giugno 2022 i rappresentanti europei hanno raggiunto un accordo per una direttiva sui salari minimi. In questo documento, non vincolante, si invita a stabilire per legge un salario minimo, diverso per ogni Paese nel rispetto delle diverse tradizioni e dei diversi punti di partenza richiamando il valore della contrattazione collettiva. In Italia, secondo il disegno di legge Catalfo da tempo fermo al Senato, la cifra dovrebbe attestarsi sui 9 euro lordi all’ora, omnicomprensivi di diversi altri istituti contrattuali. Tuttavia, oltre alla debolezza di un testo costruito in questo modo, la vera nota preoccupante è che il salario minimo, secondo i dettami europei, dovrà sì tutelare il potere d’acquisto (non è chiaro come), ma sarà determinato anche in base all’andamento della produttività del lavoro, in altre parole in base allo stesso sfruttamento dei lavoratori.
In Italia si è assistito alla consueta levata di scudi contro qualsiasi provvedimento, seppur apparente, a favore della classe lavoratrice. Il ministro Brunetta, a cui fa eco Confindustria, ha detto al Corriere che la misura è inutile perché in Italia la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici sarebbero contrattualizzati secondo un CCNL sottoscritto da CGIL, CISL e UIL con salari superiori al minimo. In reltà dati INPS dicono che ben il 18,4% dei lavoratori percepisce un salario inferiore alla soglia dei 9 euro lordi l’ora. Questo dato misura l’inadeguatezza delle politiche contrattuali delle organizzazioni confederali.
La soglia dei 9 euro, che corrisponde a un salario netto mensile di poco superiore ai 1.000 euro per un lavoro a tempo pieno, è assolutamente insufficiente.
L’ipocrisia del padronato è tanto più evidente per la facilità con cui una misura del genere potrebbe essere aggirata, per quanto il ministro invochi maggiori controlli dell’ispettorato del lavoro (come se non ci fosse lui stesso al governo!), mentre le proposte di ridurre il cuneo fiscale (e aumentare il potere della contrattazione di secondo livello) significano solo ulteriori tagli ai servizi pubblici e una maggiore divisione dei lavoratori.
I padroni ci spiegano che il salario minimo sarebbe un danno per i lavoratori perché spingerebbe le aziende a sottrarsi dai contratti nazionali e a definire le loro retribuzioni adeguandole al salario minimo legale. Una sorta di autodenuncia di quanto pensino solo ed esclusivamente ai loro profitti.
La spinta sulla contrattazione di secondo livello non ha altro scopo che dividere i lavoratori, creando la falsa illusione che, rompendo con la contrattazione nazionale, si potrebbero strappare accordi migliori. Sappiamo bene invece che la forza della classe sta nella sua unità e combattività e che i vantaggi così concessi nascondono troppo spesso un ricatto per rendere lavoratrici e lavoratori sempre più vittime dello sfruttamento padronale. È noto, peraltro, che in meno della metà delle aziende si esercita la contrattazione aziendale, tendenzialmente con esiti non favolosi.
Le spiegazioni dei padroni servono solo a distrarre dal vero punto che non vogliono discutere: legare l’aumento dei salari all’aumento dell’inflazione in maniera automatica! A maggio l’inflazione su base annua ha raggiunto il 7,3% (fonte ISTAT), dato che non si vedeva dal 1986!
Mentre PD e M5S si spellano le mani in applausi all’Europa, noi concordiamo con il ministro Brunetta almeno su un punto: la direttiva europea non risolve nulla.
Per questo chiediamo:
Salario minimo intercategoriale di 1400 € mensili netti;
Aumenti salariali di almeno 300 € al mese;
Una nuova scala mobile dei salari.