Ritorno alla lotta in Stellantis
Questa primavera si è improvvisamente surriscaldata nelle fabbriche del gruppo Stellantis.
Il 27 maggio uno sciopero a Pomigliano, basato su cadenza e ritmi della catena di montaggio, temperatura nei reparti e pulizia, oltre che un considerevole spostamento di personale da un reparto ad altro, ha visto una forte adesione che ha di fatto fermato la produzione della panda.
Agli inizi di Giugno per gli stessi motivi si fermava Mirafiori che bissava poi il 9 giugno con un nuovo sciopero.
I lavoratori con il cambio societario cominciano a vedere la nuova gestione come un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni. I problemi sono molto evidenti e non lasciano dubbi.
Stellantis prosegue la politica di tagli e efficienza risparmiando così come fatto in precedenza dalla FCA, ma addirittura peggiorando su tutto ciò che ritiene superfluo.
E quindi nonostante l’ondata di calore intenso non si accendono gli aereatori, a Pomigliano con l’arrivo della Tonale un po’ di persone sono state allocate sulla nuova vettura e chi resta su Panda, nonostante un calo di cadenza con la produzione che scendeva dalle 478 vetture a turno si passava a 465, si ritrova a fare più lavoro per sopperire a questa nuova efficienza e inoltre le condizioni igieniche sono al collasso con alto rischio infortuni. Un esempio su tutti lo stampaggio frequentemente vede la fuoriuscita di olio dalle presse e questo spesso non viene pulito con un alta probabilità di scivolamento.
Il perdurare di queste condizioni ha di fatto rotto un tappo che resisteva da anni, il montaggio infatti non vedeva uno sciopero dall’inizio Pandemia, se poi consideriamo queste dimensioni di adesione bisogna risalire agli inizi dell’era Marchionne.
Lo scenario nazionale di incertezza fa da cornice a queste condizioni, con l’aumento delle perplessità sul futuro industriale dell’intero comparto.
Si susseguono infatti accordi di fuoriuscita volontari e, se pensiamo a Melfi col taglio di un’intera linea produttiva, la direzione tracciata sembra chiara.
Insomma, se non si interviene per tempo tra il cambio di motorizzazione da motori a scoppio ad elettrico, che prevede ulteriori tagli e l’efficientamento produttivo, gli stabilimenti italiani rischiano in modo serio di vedere una riduzione occupazionale significativa, se non una chiusura di qualche sito.
La risposta delle maestranze infonde sicuramente fiducia in una risposta adeguata nel caso che uno dei sovra descritti scenari diventi realtà. Bisogna investire sul conflitto per cambiare i rapporti di forza oggi esistenti. Di certo la sola Fiom se non riuscirà a generalizzare la lotta all’intero gruppo difficilmente cambierà le sorti di migliaia di lavoratori, e un governo che non bada minimamente alle esigenze operaie, se non attraverso l’elargizione di bonus e mancette, dovrà fare i conti con un problema che rischia di essere un vero e proprio colpo per l’economia dell’intero paese.
La consapevolezza dei lavoratori cresce, e sempre più ci si rende conto che solo attraverso percorsi di lotta e scioperi si potrà ottenere dei cambiamenti.
Questo processo di lotta, se continuerà, metterà sempre più in crisi anche il sistema del Ccsl che continua ad essere uno strumento molto apprezzato dall’azienda, e che proprio per questo va contrastato per farlo decadere.