Congresso CGIL. È ora di guardare in faccia la realtà
Terminate le assemblee di base del congresso CGIL e con in corso i congressi di livello superiore, è possibile avanzare un primo bilancio del dibattito.
La prima considerazione è che neppure una crisi sociale senza precedenti, con un governo che aggredisce i poveri e parte all’assalto dei diritti dei lavoratori, con un mondo sconvolto da crisi e guerre, pare sufficiente a scuotere gli apparati sindacali dal loro torpore e dalla loro routine. La rabbia, la preoccupazione e i bisogni di milioni di famiglie di lavoratori non trovano eco in questo dibattito.
Mezzo milione di iscritti in meno
Eppure qualche dato potrebbe aiutare a confrontarsi con la realtà. Al 31 dicembre scorso, sono stati 4 milioni 931mila gli iscritti certificati alla CGIL: un calo di oltre mezzo milione di iscritti in un decennio. Le assemblee congressuali sono state ovunque meno partecipate di quattro anni fa, un dato segnalato dalla stessa segreteria nazionale in più occasioni.
Ci si accontenta dicendo che i votanti sono stati, complessivamente, circa 1 milione 345 mila in oltre 43mila assemblee di base. Cifre, a prima vista, non dissimili da quelle del congresso precedente. Ma questo dato evidenzia per l’appunto una partecipazione sempre più passiva, alimentata dalla pessima tradizione di svolgere assemblee congressuali brevi nei luoghi di lavoro, seguite da lunghe ore di apertura dei seggi per disincentivare il dibattito.
Come sostenitori del documento alternativo peraltro non abbiamo quasi mai potuto apprezzare le punte più alte di partecipazione al voto, che pare abbiano avuto la tendenza a concentrarsi in territori o categorie dove i nostri sostenitori e presentatori non erano presenti.
Non certo per un nostro scarso impegno, ma piuttosto per un regolamento restrittivo e ancora meno democratico rispetto al passato, che limitava ai soli componenti degli organismi dirigenti il diritto di presentare i documenti.
Il documento della segreteria nazionale, “Il lavoro crea il futuro”, ha proposto un punto di vista autoassolutorio e acritico. Vengono vantate le sporadiche iniziative (lo sciopero del 2021 e quello del 16 dicembre scorso), ma si tace completamente sul fatto che quelle iniziative non hanno ottenuto alcun effetto concreto e non hanno avuto seguito.
E se vogliamo dire le cose come stanno, lo sciopero del 16 dicembre scorso è stato convocato e organizzato nel modo più formale e routinario che si possa immaginare. La scarsa presenza nelle piazze non si spiega altrimenti.
Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome: questi dati sono la spia di un rapporto compromesso con vasti settori di lavoratori, di un distacco tra i lavoratori e la CGIL che ha pochi precedenti nel passato.
La lotta per il salario
Se si vuole colmare questo distacco si deve partire dal primo e basilare ruolo di un sindacato: lottare per un salario degno. L’inflazione a due cifre ormai da oltre un anno ha comportato una decurtazione di circa 2.500-3.000 euro dal reddito delle famiglie di lavoratori dipendenti. Come attivisti dell’Area Giornate di Marzo oltre che proporre una critica all’inadeguatezza dei rinnovi dei contratti nazionali, abbiamo avanzato la proposta della scala mobile dei salari: l’unico strumento che consentirebbe di far fronte all’aumento dei prezzi aumentando automaticamente i salari. A questo va unito un serio salario minimo legale, che attacchi alla base il sotto-salario sempre più diffuso, e una seria lotta contro la precarietà, che il governo Meloni sta ulteriormente rilanciando (vouchers, estensione dei contratti a termine).
Se i salari crollano mentre i prezzi salgono, vuol dire che ad aumentare sono i profitti e le rendite. Non c’è vera difesa del salario se non si vuole affrontare questo scontro.
Le proposte della maggioranza di aumentare le buste paga agendo sul cuneo fiscale sono del tutto inefficaci. Si vuole ridurre le tasse ai lavoratori? Benissimo. Ma allora si devono alzare quelle sui redditi più alti e sui profitti. Altrimenti, con il taglio del cuneo e le decontribuzioni si va solo a toccare quello che è salario differito: le indennità di malattia e di infortunio, le pensioni, i servizi pubblici, la sanità e la scuola pubblica…
Al fondo della nostra divergenza, crediamo che ci sia la radicale sfiducia che il gruppo dirigente della CGIL manifesta nella possibilità dei lavoratori di mobilitarsi e passare al contrattacco. Sì, è vero: senza i lavoratori, qualsiasi prospettiva di cambiamento diventa “utopia”, come spesso ci viene detto, e rimane solo la pratica sempre più logora di implorare tavoli di trattativa al governo di turno, le lamentele sulla “politica che non ci ascolta”.
Noi guardiamo invece alle lotte in Francia, in Gran Bretagna, negli USA, guardiamo alla necessità bruciante della maggioranza dei lavoratori anche in Italia di unirsi e lottare per conquistarsi un futuro dignitoso. E siamo certi che verrà anche qui il momento in cui l’immobilismo e le iniziative testimoniali lasceranno il passo a lotte vere, unificanti e di massa.