Settimana corta o riduzione d’orario a parità di salario?

Settimana corta o riduzione d’orario a parità di salario?

In Italia attualmente un lavoratore con un contratto full-time lavora 40 ore alla settimana, generalmente spalmate su cinque giorni. Con il conteggio degli straordinari le ore di lavoro possono arrivare a 48, che è stabilito come tetto massimo consentito dalla legge.

Tra il 1969 e il 1973 le lotte operaie conquistarono la riduzione da 43 a 40 ore di lavoro alla settimana. Anche se alcuni contratti hanno ridotto l’orario nominale sotto le 40 ore, la situazione reale, con l’introduzione di dosi sempre più massicce di flessibilità su orari, lavoro festivo, straordinari, ecc., peggiora da almeno 25 anni. Le stesse 48 ore sono soggette a deroghe.

Nonostante i piagnistei dei padroni nostrani, attualmente se un lavoratore in Europa passa in media 1.566 ore all’anno sul posto di lavoro, in Italia diventano 1.669 contro le 1.349 dei lavoratori tedeschi.

Abbassare l’orario di lavoro è un’assoluta necessità, ma bisogna capire come farlo.

Recentemente, a seguito della pandemia e poi dei problemi di approvvigionamento energetico e di componenti, in alcuni settori le aziende cercano maggiore flessibilità per evitare tempi morti e cali di produzione. Da qui le proposte di ulteriore flessibilizzazione del lavoro sotto la foglia di fico della “settimana corta”.

È il caso di Intesa Sanpaolo, dove si sta sperimentando la settimana di quattro giorni da nove ore (da 37,5 a 36 ore). Si è fatto molto rumore sui risultati di un esperimento inglese di settimana corta che ha coinvolto 61 aziende per un totale di 2.900 lavoratori (prevalentemente mansioni impiegatizie medio-alte).

La verità è che questi accordi implicano un aumento della produttività: si sta (poco) meno in azienda, ma si lavora più intensamente. La cosa risulta ancora più evidente nel caso dei lavoratori in produzione o in servizi come logistica, trasporti, dove spesso gli orari ridotti aprono la porta a un maggiore uso dello straordinario (come già avviene col part-time), ma a produttività aumentata.

Per questo è surreale la posizione di Landini, che in una intervista ha affermato: “La settimana di quattro giorni lavorativi per noi comporta la disponibilità a ragionare di possibili turnazioni anche su sei giorni (sabato compreso) e così recuperare ulteriore produttività.” Al Congresso Nazionale del sindacato Landini ha insistito: “La settimana lavorativa di quattro giorni, come sta avvenendo in altri paesi con esiti positivi per i lavoratori e per le impresa è diventata emblematica nel dibattito pubblico”.

Così come non si può lottare per i salari senza attaccare i profitti, è impossibile una vera riduzione d’orario, che significhi quindi una riduzione dello sfruttamento, affidandosi alla collaborazione con le imprese.

L’unica rivendicazione possibile è la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario e senza oneri per la popolazione secondo lo slogan “Lavorare meno, lavorare tutti!” A questo si deve accompagnare una lotta generale contro la flessibilità e per il recupero salariale, senza le quali qualsiasi riduzione nominale d’orario rischia di diventare una presa in giro.