CONFERENZA NAZIONALE GIORNATE DI MARZO: CONTRIBUTO SULLA SANITÀ

CONFERENZA NAZIONALE GIORNATE DI MARZO: CONTRIBUTO SULLA SANITÀ

Il 20 gennaio scorso si è tenuta la conferenza nazionale della nostra Area sindacale a Bologna.
Pubblichiamo una serie di contributi presentati alla conferenza su specifici settori. Di seguito quello sulla Sanità.
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Il programma del governo Meloni per la sanità italiana è chiaro e sintetico: privatizzazione. La legge di bilancio ha destinato al SSN circa 3 miliardi, un incremento che non tiene conto neppure del tasso l’inflazione con il risultato che la spesa reale per il 2024 è prevista essere in calo dell’1,5%. In termini di % sul PIL si passa così dal 7.4% del 2020 al 6.1 del 2026. Il progetto di riforma costituzionale della cosiddetta Autonomia differenziata unita ai tagli fanno avanzare il processo di privatizzazione. Secondo gli ultimi dati dell’Annuario Statistico del Ministero della Salute (relativi al 2021) risultano private accreditate, ovvero rimborsate con denaro pubblico: il 48,6% delle strutture ospedaliere (n. 995); il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (n.8.778); l’84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (n.7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (n. 3.005), ovvero le due tipologie di Rsa; il 78,2% di quelle riabilitative (n. 1.154).

Le liste d’attesa costituiscono la cartina di tornasole della crisi profonda del SSN: in media si attendono 60 giorni per una visita cardiologica, endocrinologica o oncologica; 90 giorni per una visita oculistica o ginecologica; 150 giorni per una mammografia, 181 giorni per una prima visita neurologica, oltre 300 giorni per una gastroscopia (report Cittadinanzattiva).
Le conseguenze delle lunghe liste d’attesa sono descritte da recenti indagini di Istat e di Altroconsumo che indicano che l’11% delle persone hanno rinunciato alle cure, mentre il 65% è stata costretta a rivolgersi al privato.
Inoltre esiste un vero e proprio “cavallo di Troia” che erode risorse pubbliche dirottandole ai privati: i fondi sanitari gestiti dalle assicurazioni e sostenuti dalle politiche del cosiddetto “welfare aziendale”. I fondi sanitari godono di consistenti agevolazioni fiscali: la loro deducibilità fiscale, fissata a €. 3.615,20 al 2013, questo mentre l’investimento medio pro-capite pubblico in Italia per la sanità è di circa €. 2.470,00. I presunti vantaggi del welfare aziendale per i lavoratori iscritti ai fondi sono una mera illusione, perché il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi in quanto erosi da costi amministrativi e utili delle compagnie assicurative (dati della Fondazione Gimbe).
Ovvero, i beneficiari delle risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari sono le assicurazioni che generano profitti, la sanità privata che aumenta le prestazioni erogate e le imprese che risparmiano sul costo del lavoro.
Per i medici, gli infermieri e tutte le figure sanitarie, il mancato turn-over e il reiterato blocco delle assunzioni determinato da un tetto di spesa che risale al 2004, hanno prodotto organici sempre più ridotti all’osso ed enormi sacche di precariato. Negli ultimi anni si è sviluppata una dinamica che ha visto crescere il numero dei lavoratori che si dimettono. Alla base degli abbandoni ci sono le condizioni di lavoro stressanti, dai pesanti turni di servizio ai week end occupati da guardie e reperibilità, e il precariato che si protrae a lungo con stipendi inadeguati rispetto alla media europea. I salari dei lavoratori della sanità sono gli ultimi in Europa occidentale e tutti i Contratti nazionali sono scaduti nel 2021, nonostante l’enorme aumento dell’inflazione.
La sanità pubblica è una bomba ad orologeria e, probabilmente, non esiste settore che vedrebbe tutta la classe lavoratrice pienamente coinvolta in una vera mobilitazione generale per sostenerla, se solo ci fosse un gruppo dirigente sindacale che riuscisse a mettere assieme una piattaforma avanzata in difesa di salario e condizioni di lavoro dei lavoratori del settore e gli interessi dei lavoratori in difesa del diritto alla salute, alla prevenzione, all’assistenza e alla cura per tutti.
Un drastico aumento dei fondi destinati al SSN fino ad un loro raddoppio; il controllo da parte dei lavoratori e degli utenti della sanità pubblica e la gestione da lavoratori, infermieri, operatori sanitari e utenti uniti in comitati; la ripubblicizzazione della sanità privata e del settore socio sanitario; l’esproprio delle strutture sanitarie private e riassorbimento dei lavoratori presso il SSN; la ripubblicizzazione di Rsa, comunità residenziali, case di riposo poste sotto il controllo dei lavoratori; piani di assunzione straordinari e stabilizzazione di tutti i lavoratori precari; aumento di salari a partire da incrementi immediati non inferiori a 400 euro mensili; lo sviluppo della rete sanitaria territoriale e la valorizzazione della rete territoriale non ospedaliera (assistenza domiciliare, riabilitazione, prevenzione, gestione patologie croniche e dipendenze etc.) dovrebbe essere la piattaforma con la quale chiamare alla lotta tutti i lavoratori.

Una campagna di assemblee in tutti i posti di lavoro, in tutti i settori e le categorie sulla centralità della lotta per la riconquista di una sanità pubblica vedrebbe i lavoratori pronti a lottare. L’inadeguatezza del gruppo dirigente sindacale è sotto gli occhi di tutti.

Tra i lavoratori della sanità queste contraddizioni sono sempre più evidenti, il processo di smantellamento della sanità mostra con chiarezza il parassitismo del capitalismo e dei suoi governi a chiunque. Compito della commissione di settore della nostra area sarà quella di entrare nel dibattito attorno al rinnovo del Ccnl e della condizione della sanità per provare a raccogliere l’interesse di chi intenda organizzarsi ed unirsi a noi.

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