Intercos, le operaie piegano la multinazionale della cosmetica – intervista a due lavoratrici

Intercos, le operaie piegano la multinazionale della cosmetica – intervista a due lavoratrici

a cura di Francesco Favalli

Tra Crema e Lodi, in quella che l’Economist ha definito lipstick valley, diverse multinazionali del make-up, producono, secondo alcune stime, circa il 50% dei cosmetici a livello mondiale.

Le aziende del settore storicamente si appoggiano su terzisti e cooperative che gli consentono di meglio digerire i picchi produttivi e i periodi di magra. Nel 2023 il settore ha visto una crescita del fatturato pari al 13,3% e si stima che anche il 2024 possa chiudersi con almeno un +10%.

Buona parte della manovalanza della lipstick valley è costituita da donne e tra queste ci sono le 43 operaie di Elecos Tecnology, azienda prestatrice di manodopera ad Intercos, multinazionale da 780 milioni di fatturato, leader nel proprio settore e produttrice di trucchi per conto dei grandi marchi di bellezza e delle case di moda.

Queste 43 operaie tra il 6 e il 21 giugno sono state protagoniste di un duro sciopero di 15 giorni che si è concluso con una vittoria: assunzione diretta delle lavoratrici da parte di Intercos con l’applicazione del CCNL gomma plastica anziché del multiservizi proposto dall’azienda.

Di seguito l’intervista ad Ale e Manu, lavoratrici in sciopero.

Perché è iniziato questo sciopero?

A inizio giugno abbiamo ricevuto comunicazione dalla Filt-Cgil che Intercos non avrebbe più rinnovato l’appalto con Elecos. A quel punto ha anche comunicato che ci avrebbe assunte direttamente, finché però non è saltato fuori che ci avrebbero assunte con il contratto multiservizi. Nel frattempo CISL e UIL si erano già sedute al tavolo a firmare l’accordo senza che i lavoratori fossero stati consultati.

Quindi come è iniziato lo sciopero?

Ne abbiamo discusso con la CGIL e poi abbiamo fatto ciò che dovevamo fare. Abbiamo iniziato con il blocco dei camion. Già nel 2015 alcune di noi avevano scioperato per due giorni in corrispondenza di un cambio d’appalto, ma la cosa si era chiusa rapidamente con il passaggio a Elecos.

E questa volta come è andata?

Memori della passata esperienza non ci aspettavamo che la cosa durasse così a lungo. Abbiamo montato il gazebo e le bandiere e per due giorni consecutivi abbiamo bloccato i camion, giorno e notte. Ci siamo anche fermate a dormire, perché quando è stata evidente la coda di automezzi che avevamo creato, abbiamo capito che non potevamo permetterci di farli entrare.
A quel punto Intercos ha chiesto un incontro al Prefetto, abbiamo sciolto il blocco, ma decise a continuare il presidio e lo sciopero fino alla fine.

E in questo presidio come eravate organizzate? Com’era lo stato d’animo tra voi? E sentivate solidarietà alla vostra lotta?

Il presidio copriva ogni giorno il turno centrale, non facevamo turni ma cercavamo sempre di esserci tutte, ci facevamo forza a vicenda. Ovviamente c’erano anche momenti di sconforto ma era l’unione tra noi e la solidarietà che ricevevamo a invitarci a non mollare.Gli operai (diretti di Intercos, ndr) che entravano al lavoro si fermavano spesso a chiederci come andasse, ci facevano sentire la propria vicinanza. Lo stesso si può dire dei camionisti che ci esprimevano sempre il loro sostegno e ci portavano focacce e acqua. Anche gli operai della nettezza urbana sono venuti appositamente al presidio per esprimerci la loro vicinanza.

Ci eravamo organizzate con tutto il necessario, avevamo allestito un bagno chimico, pulivamo regolarmente il piazzale, facevamo una colletta a sostegno delle spese, volevamo dimostrarci capaci e organizzate.

Noi non abbiamo paura di lavorare. Molti pensano che con i tempi che corrono serva accettare ogni contratto pur di avere un lavoro. Con il nostro sciopero abbiamo fatto qualcosa di utile non solo per noi, ma anche per chi verrà dopo.

Fatto sta che al 15° giorno di sciopero avete deciso di riprendere con il blocco dei cancelli…

Sì. Per la verità, arrivati a una settimana di sciopero, tra alcune di noi, ha iniziato a insinuarsi la paura di non farcela. Ma la determinazione restava la stessa, non volevamo compromessi, quindi abbiamo deciso di – la va o la spacca – riprendere il blocco delle merci in entrata e in uscita. Era l’unico modo di continuare, la cosa migliore da fare.

Che infatti è servito.

Non eravamo sicure di farcela, però non abbiamo mai voluto arrenderci perché eravamo sicure di stare facendo la cosa giusta.

Spesso, quando vediamo qualcuno in difficoltà siamo abituati a voltarci dall’altra parte; quando invece una situazione come la nostra può capitare a chiunque. Noi abbiamo ricevuto la solidarietà di altri lavoratori. Questo insegna che servirebbe essere meno egoisti. Oggi è toccato a me, domani sicuramente a qualcun altro. So che sembra banale dirlo, ma è così: l’unione fa la forza.

Perché non avete mollato?

Ale: Per una questione di orgoglio, di dignità. Quello che volevano darci non era dignitoso.

Manu: Io sono stata sempre molto carica, non ho vissuto neanche un momento di sconforto. Anche per questo mi sono sentita in dovere di trasmettere questa convinzione a tutto il gruppo. Anche alla fine, quando in tante piangevano, io ho comunque voluto ballare. Ho sempre creduto che ce l’avremmo fatta. Tutte insieme avevamo deciso che non avevamo nulla da perdere e che quindi avremmo tirato fino alla fine.

Il momento più brutto e quello più bello.

Quello più brutto quando il primo giorno di sciopero un camionista ha cercato di forzare il blocco e noi eravamo lì davanti al mezzo, senza spostarci, a chiederci “ma si ferma o no”?

Il più bello, sicuramente la vittoria finale.

Ale: Io un momento più brutto non ce l’ho, siamo sempre state abbastanza allegre.

Manu: dopo la firma dell’accordo, quando l’azienda ha ceduto e ha riconosciuto le vostre rivendicazioni ti ho sentita dire “non ho mai ballato tanto come nelle ultime due settimane”…

Vero. Io mi sono divertita tantissimo (ride). Per tenerci impegnate in queste due settimane abbiamo fatto balli, giocato a carte, fatto giochi in scatola…

Scherzi a parte. Questa è stata un’esperienza che porterò con me per tutta la vita. Nella lotta eravamo tutte uguali: stesse sofferenze e stessi obiettivi.

Sicuramente la vostra lotta ha qualcosa da insegnare. Volete aggiungere qualcosa?

Manu: Eravamo convinte e ce l’abbiamo fatta. E poi anche il fatto di essere tutte donne è importante, forse gli uomini avrebbero ceduto prima.

Abbiamo dato una dimostrazione di organizzazione e di convinzione e abbiamo vinto.Ale: Questa vicenda insegna che è necessario fare gruppo e lottare. Senza lotta non si ottiene nulla.

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