BANCHE E ASSICURAZIONI: PROFITTI AI PADRONI, BRICIOLE AI LAVORATORI
Che l’inflazione degli scorsi due anni abbia favorito, e continui a favorire, i profitti delle aziende è un dato oramai riconosciuto anche dalle istituzioni come Banca d’Italia ma ci sono dei settori in cui tale crescita dei profitti raggiunge i suoi elevati più elevati: il settore assicurativo e quello bancario.
Secondo uno studio della FISAC CGIL le società assicurative hanno realizzato complessivamente 8 miliardi i euro, più del triplo dei 2,3 miliardi realizzati nel 2022, con una redditività del capitale pari al 10,5%; soldi che finiranno nelle tasche degli azionisti e degli alti manager in barba ai lavoratori del settore che, dell’ultimo rinnovo firmato a fine 2022, hanno ricevuto in media un incremento medio di 205€ spalmato in tre anni, assolutamente ridicolo e non in grado di arginare la spinta inflazionista degli scorsi due anni.
Con il contratto in scadenza alla fine di quest’anno la CGIL dovrebbe pretendere dai padroni delle assicurazioni qualcosa di più di un rinnovo minimo “a tre cifre”! Oltre al recupero dell’inflazione passata c’è la necessità di incrementare fortemente i salari anche perché i soldi ci sono, solo che non devono finire sempre alle solite persone. Oltre alla questione salariale il settore (che impiega ancora 50 mila persone) deve fare i conti con tutti quei lavoratori e lavoratrici che non rientrano direttamente nel contratto nazionale ANIA ma fanno parte dei contratti di appalto assicurativo, posizionandosi pertanto come lavoratori di “serie B”. Oltre alla solita piattaforma “ambiziosa” che poi va presto nel dimenticatoio il sindacato dovrebbe articolare una lotta vertenziale sia per il rientro di questi lavoratori nel comparto assicurativo, per dare forza ai lavoratori di tutto il comparto ed evitare la parcellizzazione, sia per un innalzamento dei salari e una riduzione dell’orario di lavoro.
Se l’esempio è quello del settore bancario crediamo proprio di no!
Anche se il rinnovo del CCNL, siglato a fine 2023, ha previsto un incremento medio nei tre anni di 435€ questa cifra deve essere comparata con i redditi vertiginosi che le banche, grazie anche all’incremento dei tassi di interesse del denaro, hanno registrato nel 2023; lo scorso anno è stato da risultati record per i primi sette gruppi bancari (Intesa, Unicredit, Bpm, Bper, Mps, Credem e Popolare di Sondrio) avendolo chiuso con un utile netto di 22,2 miliardi di euro, in aumento del 77,4% rispetto al 2022, spinto in alto dalla crescita del margine d’interesse, che ritorna dopo un decennio a rappresentare quasi il 60% del totale dei ricavi a quota 39,5 miliardi. Con un utile per addetto medio che sfiora i 92 mila euro l’incremento riconosciuto è veramente poca cosa se consideriamo che, non avendo inserito nel rinnovo alcuna clausola di salvaguardia degli aumenti, alcune aziende (come Borsa italiana) hanno anche riassorbito buona parte di aumenti previsti da superminimi individuali. Se la cifra assoluta dell’aumento sicuramente si distacca dai rinnovi contrattuali di altre categorie, si deve considerare che alle banche è costato relativamente poco comprarsi la pace sociale.
Anche la mezz’ora settimanale di riduzione dell’orario di lavoro, per quanto possa essere un risultato, è un’inezia rispetto alla continua contrazione del personale di questo settore visto che oltre 5 mila sportelli bancari sono stati in 5 anni (il 20% del totale) e con essi una riduzione di dipendenti di quasi il 6% (da 278 mila a 262 mila). La crisi inflazionistica ci mostra come le imprese e il grande capitale approfittino anche dei momenti di crisi per fare profitto sulle spalle dei lavoratori, sia incrementando i prezzi al consumo, sia aumentando il costo di prestiti e mutui, sia sfruttandoli direttamente sul posto di lavoro; la velleità di tassare i profitti delle banche di questo Governo si è dimostrata una sparata durata il tempo di notte, solo delle piattaforme di rinnovo partecipate dai lavoratori, che siano in grado di rivendicare una redistribuzione marcata dei proventi, la fine della piaga degli appalti e conseguente parcellizzazione dei lavoratori, una vera riduzione dell’orario di lavoro e migliori condizioni lavorative possono rappresentare la “cura” per la situazione della classe lavoratrice: è dovere della CGIL assolvere a questi compiti, costruire una piattaforma partecipata e condivisa con i lavoratori per sferrare un attacco ai padroni invece di accondiscendere alle loro necessità sui tavoli negoziali e sottostare alla legge del profitto.