NO ALL’ACCORDO PER IL RINNOVO DEL CCNL DEI LAVORATORI PORTUALI!

NO ALL’ACCORDO PER IL RINNOVO DEL CCNL DEI LAVORATORI PORTUALI!

Dopo 11 mesi di trattativa e 3 giornate di sciopero che hanno bloccato i porti di tutta Italia, l’8 ottobre, i sindacati e le associazioni padronali hanno firmato l’accordo per il rinnovo del CCNL dei lavoratori portuali. Quest’accordo non può che lasciare i lavoratori delusi ed esterrefatti. Dopo tanti sacrifici e una lotta dura, i sindacati hanno di fatto ratificato l’offerta iniziale dei padroni, la stessa offerta che aveva fatto scoppiare la rabbia dei lavoratori, spostando semplicemente 50€ dall’EDR ai minimi retributivi.

Nel corso degli scioperi che hanno paralizzato i porti e messo in campo tutta la forza organizzata della classe operaia in un settore così cruciale, i lavoratori avevano chiesto un aumento salariale di 280€ lordi (18% sul quarto livello). Per quanto i sindacati si possano dire “molto soddisfatti” , l’accordo in ballo (150€ lordi + 50€ di EDR spalmati su 3 anni) corrisponde a poco più della metà di quanto chiesto e non riesce neanche a mettere gli stipendi al passo con l’inflazione. A questo si aggiunge la “paghetta” umiliante di 120€ di welfare annui e un pagamento di 600€ una tantum diviso in 3 tranche.

Le chiacchiere della controparte – a quanto pare avvallate dai dirigenti sindacali – sulla stabilizzazione dell’inflazione sono ridicole. Tanto più che in Medio Oriente imperversa una guerra che rischia di portare a nuove fiammate inflazionistiche, che andranno tutte a vantaggio dei padroni e metteranno gli operai con l’acqua alla gola. O questi signori non leggono i giornali o ci vogliono prendere in giro.

Data la situazione economica reale e i rapporti di forza creati con l’azione collettiva dei lavoratori, questo accordo non è nient’altro che un tradimento della lotta dei lavoratori portuali e per questo deve essere rispedita al mittente. Le organizzazioni sindacali metteranno l’accordo al voto con  referendum tra i lavoratori entro il 25 ottobre. L’accordo deve essere rifiutato: le condizioni per ottenere quello che si chiedeva c’erano e ci sono ancora, la lotta deve continuare. Come ci insegna la mobilitazione di questi ultimi mesi, l’unica garanzia di vittoria è che i lavoratori prendano in mano la lotta e impongano le proprie decisioni, tanto ai padroni quanto ai dirigenti sindacali troppo affezionati ai tavoli e timorosi di colpire i profitti.

Non per questo si è lottato!

I padroni della logistica e del trasporto marittimo hanno fatto profitti strabilianti negli ultimi anni, approfittandosi delle strozzature nelle catene di approvvigionamento dovute prima alla pandemia e poi alle tensioni nel Mar Rosso. I prezzi dei container sono arrivati a quadruplicarsi nell’ultimo periodo. Al contrario, i lavoratori del settore hanno visto i propri salari erosi dall’inflazione e un peggioramento costante delle condizioni di lavoro.

Questa situazione ormai insostenibile aveva infiammato la rabbia dei lavoratori, che si sono lanciati in una lotta dura e combattiva con adesioni anche del 100% nei principali porti. Ai picchetti neii varchi e nelle assemblee di sciopero questa rabbia e determinazione erano palpabili: “72 ore [di sciopero] sono le prossime se non ci portano una proposta accettabile”, diceva un lavoratore in assemblea al porto di Genova. Eppure, dopo un secondo sciopero di 48 ore che aveva bloccato i porti di tutta Italia il 4 e il 5 luglio e aveva creato rapporti di forza del tutto favorevoli ai lavoratori, le direzioni sindacali hanno preferito non dare seguito alla mobilitazione e fare passare l’estate nella quiete, sebbene non avessero ricevuto alcuna garanzia dalla controparte. Le direzioni sindacali hanno imposto dall’alto la ritirata proprio nel momento di maggiore slancio della lotta.

I sindacati parlano di una trattativa “dura” ed estenuante. Ebbene, se la lotta fosse andata fino in fondo come chiedevano i lavoratori, sicuramente la trattativa sarebbe stata più semplice e l’accordo raggiunto sarebbe stato un riflesso dei rapporti di forza reali che si erano creati con la lotta e con i sacrifici dei lavoratori. Al contrario, questo accordo è l’esito di tavoli “a freddo” in cui il grande assente sono proprio i lavoratori e in cui gli unici interessi che vengono onorati sono quelli dei padroni.

L’esempio dei portuali americani

Questo accordo appare ancora più irricevibile in quanto arriva proprio simultaneamente alla vittoria dei lavoratori portuali americani, che hanno ottenuto un aumento del 62% su sei anni. Come ha detto un delegato dei portuali genovesi: “Sembra una presa in giro nei nostri confronti!”. Ma qual è il segreto di questa lotta vittoriosa? Be’, proprio nessuno! I lavoratori portuali americani hanno fatto quello che i lavoratori portuali in Italia erano ben intenzionati a fare e che solo la passività (se non l’ostruzionismo) delle direzioni sindacali ha impedito: scioperare ad oltranza fino a piegare i padroni. Ma evidentemente questo è troppo difficile da capire per i nostri dirigenti sindacali… “Quanto è pragmatico lei!”.

Negli Usa sono bastati 3 giorni di sciopero ad oltranza (meno di quanto i lavoratori erano disposti a fare in Italia!) per ottenere un buon accordo. In realtà, i portuali americani avevano chiesto inizialmente il 76% di aumento. Viene da pensare che se i padroni hanno dato il 62% dopo tre giorni, avrebbero tranquillamente dato il 76% se si fosse proseguito per qualche altro giorno… Senza dubbio, i soldi ci sono: tra il 2020 e il 2023, le compagnie di trasporto marittimo e le imprese della logistica portuale hanno realizzato 400 miliardi di dollari di profitti!

Votare no al referendum! Continuare la lotta!

I lavoratori portuali hanno dato prova della propria forza e determinazione. Lo sciopero al porto di Venezia del 17 ottobre, poco dopo la siglatura dell’accordo per il rinnovo del CCNL, lo dimostra. Votare No al referendum è un primo passo. Ma ciò che questa lotta insegna è anche la necessità per i lavoratori di avere un controllo democratico su ogni aspetto della lotta e sulle trattative. L’unica garanzia di vittoria è che la lotta sia sempre sotto il controllo diretto e democratico dei lavoratori. Solo i lavoratori possono decidere come, quando e quanto lottare!