Resoconto della riunione della Commissione Sanità e Socio Sanitario del 27/04/20
In piena crisi coronavirus, il governo in data 9 marzo ha emanato un decreto che, se da una parte disponeva l’obbligo alla cittadinanza di restare a casa per contenere il più possibile l’espansione del contagio, dall’altra esponeva milioni di lavoratori al virus pur di non scontentare Confindustria e i padroni. I successivi decreti hanno scatenato padroni e padroncini alla corsa all’autocertificazione per poter rientrare nell’ambito dei servizi “essenziali”. In tal modo, la produzione di un’autocertificazione ha permesso a qualunque tipo di produzione di non arrestarsi, a fronte di disposizioni in merito alla sicurezza dei lavoratori, per niente chiare e di complessa attuazione vista la carenza di DPI del momento.
La risposta è stata il lancio dell’appello “I lavoratori non sono carne da macello” che ha raccolto centinaia di firme di delegati e lavoratori di tutti i settori, e l’organizzazione dell’assemblea online che si è tenuta in data 30 marzo.
La grande partecipazione e l’elevato interesse dei lavoratori nei nostri confronti, spingono ora più che mai l’organizzazione a dare continuità al lavoro già avviato. Il nostro intervento dovrà coprire tutti i settori produttivi a partire da sanità e socio sanitario che sono gli ambiti maggiormente feriti dalla pandemia.
I lavoratori di questi settori hanno subito e continuano a subire delle grandi vessazioni. Si pensi ad esempio che se da un lato c’è il rifiuto per i sanitari (infermieri, oss, ecc.) di permessi e ferie, dall’altra c’è l’”invito” per gli amministrativi e i tecnici al consumo delle ferie per abbassare i costi delle aziende.
Se poi affrontiamo il discorso della sicurezza degli operatori esposti in prima linea al contagio, entriamo in un ambito che possiamo solo definire “folle”. Infatti i primi dispositivi e le prime procedure d’intervento chiare, sono arrivati molto in ritardo, esponendo al contagio un’elevata percentuale di sanitari. I controlli, tramite tampone, degli operatori esposti non sono mai stati fatti per paura di trovare alte fette di positivi, con il rischio, dovendoli mettere in isolamento, di chiudere interi reparti per mancanza di personale. In tal modo chi doveva curare è diventato veicolo di infezione e acceleratore della pandemia. Se consideriamo che nella fase di picco dell’infezione il fattore di contagio era di 1:4, comprendiamo bene come una sconsiderata politica di sicurezza in ambito sanitario, ha permesso l’espansione del virus così come poi è avventa. Esempio tipo di malasanità è stata la gestione dell’infezione all’Ospedale di Alzano Lombardo, dove nulla è stato fatto per proteggere gli operatori, trasformando la struttura in focolaio d’infezione per la provincia di Bergamo e per tutta la Lombardia.
Ad oggi primo maggio, i numeri della pandemia non sono ancora completamente chiari. Si contano 205 mila contagiati su tutto il territorio nazionale di cui il 37% (75.732) in Lombardia, ma non è chiaro il campione a cui si fa riferimento. Poi per gli operatori sanitari i contagi sono circa il 10% del totale nazionale (20.000) ma i dati sono evidentemente sottostimati.
In merito ai decessi, si parla di circa 28 mila a livello nazionale di cui i 49% (13.772) nella sola Lombardia. Duecento sono invece i decessi tra gli operatori sanitari. Anche in questo caso il dato è fumoso, perché non è chiaro quali classi di operatori siano state considerate ai fini statistici e quali siano state escluse (ad esempio i fisioterapisti sono stati esclusi).
E’ chiaro che una grande, anzi grandissima fetta di responsabilità di questi numeri è da attribuire allo scandaloso scempio che è stato fatto alla sanità pubblica. Nel corso di un trentennio, la sanità pubblica è stata completamente smantellata favorendo la crescita di grandi blocchi ospedalieri
privati proprietà di colossi societari internazionali, alimentati economicamente dallo Stato attraverso la convenzione con il SSN. Uno studio dell’Osservatorio GIMBE evidenzia un definanziamento del Sistema Pubblico, dovuto a tagli e manovre finanziarie, pari a 37 miliardi di euro nell’arco di un decennio, di cui circa 25 miliardi tra il 2010 e il 2015. Il definanziamento inevitabilmente si traduce in chiusura di reparti specialistici se non di interi ospedali pubblici, in riduzione di posti letto, in mancato adeguamento di dispositivi tecnologici a fronte di nuovi protocolli di cura, in mancata formazione del personale e in spopolamento delle strutture sanitarie per mancato turn over degli operatori. Ormai famoso a memoria di tutti è il blocco delle assunzioni dettato dalla Riforma della Sanità Pubblica con l’emanazione del Decreto Brunetta del 2009, Decreto che oltretutto ha bloccato per otto anni il rinnovo del CCNL della Sanità con una notevole perdita del potere d’acquisto dei salari degli operatori.
Giusto per dare qualche numero, si stima che nel 2017 (ultimo anno in cui compaiono dati certi) le strutture di cura erano 1000, di cui il 51,80% pubbliche ed il rimanente 48,20% private accreditate. Dieci anni prima, nel 2007, esistevano 1197 istituti di cura, di cui il 55% pubblici ed il rimanente 45% privati accreditati. Dunque non solo in 10 anni il numero degli istituti di cura è diminuito di circa 200 unità, ma analizzando l’andamento degli anni precedenti, vediamo che la decrescita era già in atto. Infatti nel 1998, le strutture erano ben 1381 di cui il 61,3% pubbliche ed il rimanente 38,7% privato accreditato. Notiamo con profondo dispiacere come la decrescita abbia interessato il solo settore pubblico.
In merito ai posti letto si è passati da 311 mila del 1998 a 225 mila nel 2007 e 191 mila nel 2017. In rapporto al numero di abitanti, siamo cioè passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti del 1998, a 4,3 nel 2007 e a 3,6 nel 2017. Solo nell’ultimo decennio i posti in terapia intensiva si sono dimezzati e si sono perse 46 mila unità di personale dipendente, di cui 8.000 medici e più di 13 mila infermieri.
Insomma un sistema sanitario pubblico al collasso dove i reparti oggi funzionano in attività ordinaria solo grazie al profondo senso di responsabilità del personale sanitario.
Un capitolo a parte va aperto su quanto sta accadendo all’interno delle RSA, dove i dati sono ancora più fumosi di quelli delle strutture ospedaliere. I numeri parlano di circa 7000 decessi dal primo di febbraio ad oggi e di questi il 42% è accertato essere attribuibile a COVID-19. Per tutti gli altri non c’è una diagnosi precisa. Poi quante siano in Italia le strutture predisposte ad accogliere anziani e quanti siano gli ospiti in totale, non è dato sapersi.
Questa strage silenziosa, dopo una prima fase di affossamento degli eventi, è ormai assodato essere attribuibile ad una voluta scorretta politica di gestione del contagio, a tutela del profitto che dalle strutture le proprietà fanno. Questo ha provocato i danni oggi sotto gli occhi di tutti. Sono molte le testimonianze, anche di nostri compagni dell’organizzazione lavoratori nelle RSA, di come vi sia stato il divieto iniziale delle Direzioni all’uso dei DPI per paura di spaventare gli ospiti, e di come non vi sia stata la volontà di isolare i casi di contagio per non dover assumere ulteriore personale sanitario. Scelte assolutamente sconsiderate vista la fragilità degli ospiti e la particolarità dell’attività lavorativa condotta dagli operatori in queste strutture. Questi lavoratori sono arrivati ad essere anche ricattati qualora non avessero rispettato le condizioni dettate dai Direttori. Per molti operatori la scelta è stata quindi tra rischiare di infettarsi (ed infettare i propri cari) e rischiare di perdere il posto di lavoro.
Il risultato di questa politica di profitto, è stata la nascita di focolai di contagio anche molto importanti. Attorno ad alcuni di questi, come il Pio Albergo Trivulzio e il Don Gnocchi di Milano, sotto la spinta degli operatori sanitari, sono nati comitati di parenti che stanno premendo sulle Autorità per far aprire indagini ufficiali.
Come abbiamo visto sino ad ora, la crisi pandemica ha scoperchiato molte inefficienze del Sistema Sanitario Pubblico. Di molte si parla continuamente ma mai si menziona l’importanza della rete sanitaria territoriale, oggi ancora più maltrattata degli ospedali o delle RSA. La rete territoriale è il supporto irrinunciabile, nonché primo filtro, per le strutture sanitarie. Si pensi all’importanza che avrebbe avuto il medico di base nella gestione del contagio, qualora gli fossero state date procedure chiare e dispositivi adeguati. Invece anche per loro è stato lasciato tutto al caso, impedendogli di operare in sicurezza per se stessi e per i pazienti. Molti sono stati i decessi anche tra i medici di base.
Altro esempio è quello dell’assistenza domiciliare post ricovero dei pazienti positivi in quarantena. All’atto di dimissione dall’ospedale, viene richiesto al paziente di procedere con la quarantena presso il proprio domicilio ma rimanda alla rete territoriale per tutto ciò che riguarda l’assistenza e il supporto quotidiano. Ammesso anche che ci sia la possibilità di vivere in isolamento presso il proprio domicilio (altrimenti il problema raddoppia), nulla è stato fatto per predisporre il territorio a questo tipo di gestione e ciascuna sede territoriale ha gestito secondo la propria creatività e la propria disponibilità di operatori.
Non dimentichiamo infine che il territorio ha un ruolo fondamentale per la gestione delle patologie croniche che richiedono un’assistenza continuativa. Anche in fase pandemica. Si pensi alla neuropsichiatria infantile, dove anche la più piccola sospensione di un percorso terapeutico può provocare profonde regressioni. O ai centri per le dipendenze ove viene somministrato il metadone ai pazienti con dipendenze da sostanze stupefacenti. Cosa è stato fatto per permettere agli operatori di proseguire con il proprio lavoro in sicurezza? Esattamente quello che è stato fatto per i medici di base e per tutti gli altri. Niente.
Di argomenti per aprire un percorso di rivendicazione del diritto alla Sanità Pubblica, l’organizzazione ne ha davvero tanti. E tanti sono i temi che ci permettono di avviare delle discussioni con i lavoratori per avvicinarli all’organizzazione.
Le parole chiave emerse dalla discussione sono:
∙ SICUREZZA DEI LAVORATORI E DIRITTO ALLA SALUTE PUBBLICA
Senza sicurezza degli operatori sanitari, viene meno la salute pubblica
∙ DIMISSIONI DI CHI HA (MAL)GESTITO L’EMERGENZA CORONAVIRUS – NO A QUALSIASI IPOTESI DI “SCUDO PENALE”
Il Governo e molte Regioni, a partire da quella della Lombardia hanno gestito in maniera criminale l’emergenza.
∙ INCREMENTO DEI FONDI DESTINATI ALLA SANITA’
Al fondo del SSN bisogna restituire subito i 37 mld di euro (su meno di 120 mld di euro, quasi 1/3 dunque) e giungere al raddoppio dei finanziamenti
∙ RIPUBBLICIZZAZIONE DELLA SANITA’ PRIVATA E DEL SOCIOSANITARIO La sanità e tutto il settore socio sanitario e assistenziale non devono essere fonte di profitto, per nessuno. Dobbiamo dire basta alle strutture sanitarie private anche quando convenzionate, perché privano larghe fette di fondi che altrimenti verrebbero destinati alle strutture pubbliche. Diciamo si all’esproprio di tutte le strutture sanitarie private con la garanzia del lavoro a tutti i lavoratori della sanità privata presso il SSN. Il mondo delle cooperative del settore sociosanitario ha del tutto perso lo spirito col quale nacque il movimento cooperativo. Rsa, comunità residenziali, case di riposo devono essere ripubblicizzate e posto sotto il controllo dei lavoratori
∙ ASSUNZIONE DI NUOVI OPERATORI SANITARI, TECNICI E AMMINISTRATIVI Dobbiamo ripopolare le strutture sanitarie con assunzioni di giovani lavoratori che diano il cambio generazionale ad un sistema che regge sulle spalle di operatori “anziani”
∙ STABILIZZAZIONE DEI PRECARI
Basta con il sistema delle assunzioni precarie, che creano sfruttamento e ricatto ∙ CHIAREZZA SUL DIRITTO DI SCIOPERO
Il diritto allo sciopero è irrinunciabile anche in un sistema che vive sul contingente minimo di operatori; dobbiamo chiedere che venga abrogata la legge 146/90 e quelle successive che nei fatto impediscono l’esercizio del diritto di sciopero nel pubblico impiego e la precettazione.
∙ ADEGUAMENTO DELLE RETRIBUZIONI
Dev’essere recuperata la perdita salariale legata ai blocchi contrattuali dell’ultimo decennio e devono essere incrementate e stabilizzate tutte le quote previste dalle voci del salario variabile. I salari dei lavoratori della sanità devono giungere rapidamente al livello della media dei salari europei più alti
∙ SVILUPPO DELLA RETE SANITARIA TERRITORIALE
Dev’essere riconosciuto e valorizzato con consistenti investimenti, il ruolo della rete territoriale. ∙ LA SANITA’ DEVE ESSERE PUBBLICA E POSTA SOTTO IL CONTROLLO E LA GESTIONE DEI LAVORATORI DELLA SANITA’ CON COMITATI CHE COINVOLGANO GLI UTENTI! BASTA CON I DIRIGENTI NOMINATI DALLA POLITICA.