Contratto metalmeccanici: lo scontro con i padroni è di sistema, uniamo e generalizziamo le lotte.

Contratto metalmeccanici: lo scontro con i padroni è di sistema, uniamo e generalizziamo le lotte.

Pubblichiamo l’intervento di Paolo Brini al Comitato Centrale Fiom tenutosi ieri, 8 ottobre, a Roma.

Compagne e compagni

a fronte della rottura del tavolo di trattativa da parte di Federmeccanica, noi oggi siamo chiamati a discutere sul “che fare?”. Come dunque gestire la vertenza e lo scontro nelle prossime settimane e mesi. Lo dobbiamo fare tenendo presente che quanto sta accadendo non solo ha una portata ed un significato generale, come sempre avviene per il contratto dei meccanici, ma è altresì senza precedenti. Credo debba essere chiaro a tutti che da questo scontro non si può uscire con un pareggio, non ci sono le condizioni oggettive per una “mediazione”. Finché una delle due parti non cede, non ci sarà il contratto. Questo perché la posta in gioco non è “solo” un rinnovo di contratto ma è un intero sistema e modello di relazioni industriali. Non siamo in un contesto in cui noi chiediamo 145 euro e i padroni offrono 80, dunque in un contesto pur duro e difficile ma comunque sempre in un campo di gioco “condiviso” in cui chi corre di più vince la mediazione migliore. Qui la posta è in quale campo di gioco ci si deve misurare, perché il modello contrattuale concertativo che si è applicato dal 92 in avanti oggi è definitivamente saltato. Non è più accettato né dai padroni e né tanto meno dai lavoratori data l’emergenza salariale che esso ha contribuito ad ingenerare in questi decenni. Dobbiamo inoltre tenere presente che tutto ciò cade in un contesto del tutto eccezionale, quello dell’emergenza sanitaria. Su questo tasto Confindustria sta strumentalmente battendo per giustificare la propria chiusura. Noi dobbiamo respingere con nettezza la loro ipocrisia. Certo l’emergenza sanitaria ci deve indurre ad articolare diversamente le modalità della nostra battaglia, ma il messaggio che dobbiamo dare è che noi ora il livello dello scontro di classe, degli scioperi, del conflitto lo vogliamo elevare. Dobbiamo uscire dalla routinarietà cui eravamo abituati. E’ complicato fare manifestazioni nazionali? Allora lo scontro va spostato nei luoghi di lavoro, reparto per reparto, linea per linea, cancello per cancello. E’ sicuramente più difficile, ma non c’è dubbio che è tremendamente più efficace. Come si diceva un tempo dobbiamo piegare i padroni nelle fabbriche. Sono d’accordo con quanto detto dal segretario del Piemonte, l’espressione da lui usata mi pare efficace: dobbiamo scatenare la guerriglia nelle fabbriche a partire da quelle grandi e politicamente più rilevanti. Ovviamente la gestione di questa guerriglia non va “scaricata” sulle spalle del singolo delegato nella singola fabbrica ma va organizzata. Per questo diventa essenziale promuovere la costituzione di coordinamenti di delegati nei territori, nelle zone industriali e anche a livello nazionale che possano al meglio organizzare gli scioperi in sinergia tra loro.

La portata generale della vertenza poi, ci deve indurre non solo a studiare come articolare al meglio le lotte. Siamo chiamati a dare anche e soprattutto una direzione politica allo scontro. Questo riguarda sia la Fiom come categoria ma ancor prima tutta la Cgil. Noi abbiamo un primo dovere essenziale: unificare i lavoratori e le lotte. Ci sono oltre 10 milioni di lavoratori senza contratto, ci sono settori come gli alimentaristi, il settore legno, le pulizie oltre a noi meccanici che sono in sciopero. Dovere della Cgil è unificare immediatamente queste lotte. Scioperiamo assieme, organizziamo assieme la battaglia fino allo sciopero generale nazionale confederale. C’è un punto però su cui la confederazione deve essere conseguente. La compagna Scacchetti della segreteria Cgil, poco fa nel suo intervento ha ricordato che Bonomi giustifica la chiusura totale sul salario richiamando il rispetto del “Patto per la Fabbrica” firmato 2 anni fa anche dalla Cgil. Siamo onesti tra noi, dal suo punto di vista Bonomi ha perfettamente ragione. Quell’accordo prevede esattamente aumenti pari a zero. E’ dunque necessario che noi si sia coerenti e ci si assuma la responsabilità di disdettare quel patto nefasto, altrimenti non riusciremo ad uscire dall’angolo in cui ci siamo infilati dal punto di vista del modello contrattuale.

Come Fiom, sul tema del salario dobbiamo approfittare di questo scontro per riportare all’ordine del giorno un punto di principio essenziale: il salario deve tornare ad essere una variabile indipendente. Gli aumenti non devono più essere legati all’andamento dell’azienda. Gli aumenti devono essere vincolati solo al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori!

C’è infine un pericolo che dobbiamo respingere. Come già dichiarato anche da Bonomi, quando tra due mesi finirà il blocco dei licenziamenti vedremo espulsioni in massa di lavoratori dalle aziende. I padroni stanno già sbandierando la minaccia dell’occupazione come spada di Damocle per far saltare definitivamente la trattativa sul contratto nazionale. Noi dobbiamo impedire questa manovra unificando fin da ora le due tipologie di lotta. Partendo dalla consapevolezza che la riforma degli ammortizzatori sociali è senz’altro importante ma non risolutiva per affrontare l’emergenza occupazionale, la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario diventa così una rivendicazione centrale per unire il tema del contratto a quello dell’occupazione. A questo dobbiamo però aggiungere un punto. La compagna Re David nella sua relazione ha affermato che nel sindacato quasi nessuno parla di Nazionalizzazione. E’ vero purtroppo, io però sono uno di quelli che invece la rivendica con forza e pensa dovrebbe diventare una delle parole d’ordine essenziali della Cgil. Questi mesi hanno aperto un precedente che noi dobbiamo saper sfruttare. Dopo decenni di privatizzazioni in cui si ripeteva come un mantra che lo stato non può entrare nell’economia, oggi il pubblico è sempre più costretto a rientrare o tentare di rientrare nell’economia; penso ad Ilva, telefonia, autostrade, alitalia ecc. La questione è che lo ha fatto nella classica logica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Noi dobbiamo inserirci in questa discussione rifiutando questo tipo di intervento pubblico ma al contrario rivendicando che l’intervento pubblico si traduca nell’esproprio senza indennizzo e nella nazionalizzazione delle aziende in crisi. Un intervento pubblico che deve avere dunque un ruolo di tutela sociale e collettiva. Non a difesa dell’interesse privato ma bensì con la finalità di proteggere i lavoratori che sono gli unici in grado di mandare avanti le aziende anche da soli.

Concludo il mio intervento con un’ultima considerazione. Sappiamo tutti bene che non basteranno certo queste 6 ore di sciopero per venire a capo della vertenza. Sappiamo molto bene che questo non può che essere l’inizio. La posta in gioco è una sola, di sistema: invertire la rotta di questi ultimi 40 anni di arretramenti e sconfitte per il proletariato. Gli scioperi dello scorso marzo ci hanno dimostrato che il clima e le potenzialità nelle fabbriche ci sono, a noi spetta il compito di organizzare questo scontro di classe epocale tra capitale e lavoro e portarlo fino in fondo. Grazie.