STRAGE DI VIAREGGIO: DOV’È LA SICUREZZA SUL LAVORO?

STRAGE DI VIAREGGIO: DOV’È LA SICUREZZA SUL LAVORO?

Con la sentenza della Corte di Cassazione dell’8 gennaio, il 2021 si apre con uno dei pronunciamenti più degni di essere archiviati ai posteri come fulgido esempio di giustizia di classe.

Il tribunale di ultima istanza cancella, in un colpo solo, non soltanto le condanne inflitte nei confronti di Mauro Moretti (ex amministratore delegato delle Ferrovie italiane) e di altri dirigenti di FS per la strage di Viareggio – trentadue morti il 29 giugno del 2009 in uno dei principali disastri ferroviari italiani, provocato dal deragliamento di un treno merci che danneggiò una cisterna contenente GPL causando una esplosione sulle aree abitate circostanti – ma dà un cazzotto ben assestato in tutt’e due gli occhi ad almeno dieci anni di lotte di macchinisti, lavoratori delle ferrovie e rappresentanti per la sicurezza sul lavoro.

L’omicidio colposo plurimo, uno dei due reati alla base delle sedici condanne inflitte e confermate in primo grado e secondo grado, viene prescritto con una motivazione inequivocabile ed estremamente significativa: non c’è l’aggravante della violazione delle norme di sicurezza sul lavoro.

La Corte di Cassazione colpisce proprio nel punto sul quale avevano più insistito decine di delegati sindacali e più di tutti, pagando sulla loro pelle le battaglie sindacali portate avanti, Dante De Angelis e Riccardo Antonini: ferrovieri, rappresentanti per la sicurezza, il secondo portavoce dell’assemblea 29 giugno nata dopo la strage per riunire lavoratori, familiari delle vittime e cittadini alla ricerca di verità e giustizia.

Nel decennio che ha preceduto la strage di Viareggio, avevamo assistito ad un notevole inasprimento delle vertenze per la sicurezza sul lavoro nelle Ferrovie.

La privatizzazione, i tagli all’organico e alla rete, si traducevano, in quegli anni, in un aumento vertiginoso degli incidenti sul lavoro che, in molti casi, sconfinavano in vere e proprie stragi ferroviarie.

L’incidente che avviene nella stazione di Terni il 6 aprile del 2007, nel quale perde la vita un ferroviere rimasto schiacciato da una locomotiva mentre predisponeva un treno merci con una squadra chiaramente sotto organico, non è il primo ma apre un’altra serie impressionante di incidenti sul lavoro che si verificano con maggiore insistenza da quel momento in poi.

Il 2007 è un anno importante anche per lo storico sciopero generale dei ferroviari (sette giorni dopo l’incidente di Terni) contro il piano industriale del gruppo Ferrovie, contestando precisamente le conseguenze sulla sicurezza. E’ a tutti gli effetti uno sciopero contro gli omicidi bianchi nelle ferrovie dello stato.

Sono gli anni in cui tutti i ministri dell’economia che si succedono a Via XX settembre insistono che in ferrovie ci sono troppi lavoratori (nonostante in quegli anni fossero passati da 220mila a 90mila) e si battono per nuovi tagli.

E sono anche gli anni in cui Mauro Moretti, l’imputato più eccellente prescritto dalla Corte di Cassazione, faceva intendere ossessivamente che l’equipaggio di guida troppo numeroso era la fonte di tutti i danni e tutti gli sprechi delle ferrovie.

Proprio questa propaganda padronale aveva portato, nei primi anni duemila, all’introduzione del macchinista unico sui treni regionali, con una progressiva estensione dell’agente unico nella cabina di guida. L’escalation di incidenti che si verifica subito dopo dimostrava in maniera inoppugnabile che sottrarre un macchinista all’equipaggio portava a moltiplicare per dieci il rischio di incidenti.

Non solo.

Il congegno del pedale introdotto per sostituire il co-conduttore (VACMA o pedale a uomo morto) peggiorava ancora di più le condizioni di sicurezza sul treno, sia per i macchinisti che per i viaggiatori, come viene dimostrato dalla strage di Crevalcore del 7 gennaio del 2005. Episodio, insieme a tanti altri, che portò diverse ASL e gli ispettori del ministero del lavoro ad esprimersi già alla fine del 2006 per la reintroduzione del macchinista unico sui treni in cui era stato introdotto l’agente unico.

Sempre nello stesso periodo, la ripetitività della rottura degli assi per un carro merci si dimostrava così alta da renderlo ormai un incidente tipico.

Ciò nonostante, noncurante del ripetersi, nei giorni prima della strage di Viareggio, di deragliamenti di treni merci, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (un organismo sponsorizzato come indipendente ma in realtà di immediata emanazione governativa) si interessava solo ad atti intesi a confermare il pedale a uomo morto, dimostrando di schierarsi al fianco delle imprese ferroviarie intente a nient’altro che non fosse la riduzione dell’equipaggio sui treni, nello spregio più totale dei problemi di sicurezza.

Liberalizzazioni e privatizzazioni hanno portato ad un ginepraio inestricabile di ditte, contratti e sub-appalti (basta leggere tutti i nomi delle imprese italiane ed estere coinvolte nell’indicente di Viareggio) e ad una drastica riduzione della qualità delle procedure e dei controlli in primis sui treni merci, un settore da anni in via di smantellamento con centinaia di ferrovieri usciti senza essere rimpiazzati. E nei giorni prima della strage di Viareggio si erano verificati almeno quattro deragliamenti di treni merci.

Ma i dirigenti delle ferrovie non si curavano della sicurezza!

Pensavano ai tagli per raggiungere il pareggio di bilancio e licenziavano chiunque alzasse la voce per denunciare le condizioni di mancanza di sicurezza, De Angelis e Antonini in testa. Quando invece, nella storia delle ferrovie, la voce dei lavoratori era sempre stata fondamentale come autocontrollo sulla pericolosità potenziale di alcuni processi, nell’interesse di chi sui treni ci lavora e di chi sui treni ci sale.

O abita nei quartieri vicini alle stazioni… come le persone morte a Viareggio.

Tutta l’attenzione è stata dedicata all’alta velocità e i treni merci e dei pendolari sono stati lasciati a se stessi, senza le minime condizioni di sicurezza.

È qui che vanno ricercate le motivazioni della strage di Viareggio. Non è stato un disastro ferroviario dovuto a cause imponderabili ma il frutto della ricerca del profitto a tutti i costi, ad onta del rispetto delle minime condizioni di sicurezza. Una avidità su cui oggi la Corte di Cassazione appone il suo timbro di approvazione. L’ennesima conferma che il capitalismo è orrore senza fine.

Ma la battaglia contro questa sentenza non dovrà essere solo legale.

Occorrerà unire il meglio dell’esperienza accumulata in questi anni dai delegati e dai rappresentanti per la sicurezza sul lavoro in una battaglia unitaria, coinvolgendo il numero più ampio di lavoratori, contro lo smembramento e la cessione di pezzi di rete ferroviaria alle regioni e poi ai privati, combattendo contro la fine della rete ferroviaria nazionale, per battersi al recupero del carattere pubblico delle ferrovie come unica condizione per ristabilire le condizioni di sicurezza nelle ferrovie. Un obiettivo che può essere assicurato soltanto da quelle avanguardie e quei delegati che i dirigenti delle ferrovie non vogliono far altro che licenziare e ridurre al silenzio. E che, se fossero stati ascoltati, avrebbero potuto evitare stragi come quella accaduta a Viareggio.