Se 66 ore vi sembran poche…
Sono le ore di lavoro che un trasfertista IMA ha timbrato in una settimana un montatore trasfertista lavorando da lunedì a sabato presso un cliente in Lombardia.
Giornate in questo caso fatte anche di viaggi di andata e ritorno dallo stabilimento IMA in provincia di Bologna e terminate tra le 19 e le 21,30, dati ufficiali dell’azienda.
Ma cosa cè di veramente particolare in questo caso specifico rispetto a una certa “normalità” in queste attività? Che in un primo momento ai montatori trasfertisti delegati RSU era giunta la notizia che le ore erano state addirittura 86 in una settimana! Un dato eccezionale che subito aveva messo in moto l’ufficio personale della IMA per verificare e capire cosa era effettivamente successo.
Ricordo che questo dato aveva fatto meravigliare un po’ tutti, ma non eccessivamente i delegati RSU che fanno da anni le attività di trasferta in Italia e nel resto del mondo. Non a caso personalmente non ho potuto fare a meno di citarlo nel mio intervento del 6 novembre all’assemblea nazionale dell’area di alternativa in Cgil “Giornate di Marzo” di cui faccio parte. Un dato che avrebbe avuto bisogno di una verifica, cosa avvenuta esattamente alcuni giorni dopo per constatare che, appunto, erano solo 66 ore. Un dato che probabilmente non avrebbe sollevato domande all’azienda per la frequenza con cui vengono fatti orari fuori da ogni controllo.
Ricordiamo che in Italia per legge la durata massima della settimana lavorativa, straordinari compresi, è di 48 ore; sempre per legge il lavoratore ha diritto a 11 ore continuative di riposo ogni 24 ore, pertanto il limite massimo della giornata lavorativa è stabilito in 13 ore, ferme restando le 48 ore come limite di durata settimanale; inoltre è un diritto irrinunciabile dellavoratore avere un giorno di riposo ogni 7 giorni lavorativi, oppure al massimo fare una media ogni 14 giorni.
Ma nei fatti le leggi prevedono le più svariate eccezioni, che possono dipendere dal settore e dalle mansioni del lavoratore, quindi dalla contrattazione. Sappiamo cosa avviene nella sanità dove le urgenze fanno parte della normalità, così come la carenza di personale che impone ritmi elevati e doppi turni a causa del progressivo smantellamento delle strutture pubbliche da parte dei governi. Nei contratti nazionali come quello metalmeccanico è previsto l’orario plurisettimanale che non fa altro che assecondare gli alti e bassi produttivi.
In tutti questi casi assunzioni e stabilizzazioni dei precari, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario creerebbero migliori condizioni per chi il lavoro lo ha oltre a creare nuova occupazione. Naturalmente salari dignitosi che partano da un minimo netto di 1400 euro mensili.
Per tornare a quanto succede in IMA, se non possiamo parlare di un problema salariale questo è il frutto di quasi 50 anni di contrattazione integrativa. Non è il regalo di nessun filantropo. I trasfertisti così come ogni lavoratore che ha rapporti diretti con il cliente o si trova ad operare presso il suo stabilimento rappresenta la IMA e per questo si trova sotto una doppia pressione. Quindi diventa regolare che la giornata lavorativa abbia orari e durata fuori dalla norma. Senza contare che non sempre nell’azienda in cui si va a installare un impianto di confezionamento ci siano veramente tutte le condizioni per lavorare in sicurezza dichiarate dal cliente.
In questi giorni siamo alla stretta finale del rinnovo dell’integrativo in IMA che interessa oltre 2600 lavoratori. Seguirà il rinnovo del contratto dei montatori per qunato riguarda esclusivamente le condizioni delle trasferte, diarie ed indennità comprese. L’azienda non ha risentito in maniera significativa del calo di fatturato nei primi mesi della pandemia, e ora ha ripreso a macinare profitti a pieno regime anche grazie alle commesse per il confezionamento dei vaccini contro il Covid-19. Non è il caso di fare sconti dato anche l’aumento dell’inflazione a seguito del rincaro dei prezzi delle materie prime. I lavoratori della IMA si trovano nella condizione esattamente opposta a quella che stanno vivendo i 220 dipendenti della Saga Coffee in presidio permanete ai cancelli della fabbrica sull’Appennino bolognese per evitarne la chiusura e mantenere i loro posti di lavoro. Sono le due facce dell’uscita dalla crisi, secondo i capitalisti: da una parte aumento dei ritmi e degli orari di lavoro, dall’altra licenziamenti. Per noi rappresentano le ragioni di una stessa battaglia che Fiom e Cgil devono portare avanti a tutti i livelli. Come “Giornate di Marzo” lavoriamo per questo obiettivo.