Lo sfruttamento dei lavoratori del commercio durante il lockdown a colori
Il nuovo DPCM divide il Paese in tre fasce: gialla, arancione e rossa, in base alla valutazione epidemiologica fatta dall’ISS. Si tratta di un lockdown a livelli differenti. La fascia rossa (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria) è quella che ci riporta ai livelli di marzo, con la chiusura totale delle attività, tranne i negozi di generi alimentari, farmacie, tabacchi, parrucchieri. Su diktat di confindustria nessuna azienda, nessuna fabbrica, nessuna produzione artigianale ed industriale verrà chiusa. Una volta che si esce dal lavoro, inizia il lockdown anche per questi lavoratori.
I lavorati del commercio, nell’accezione più ampia del termine, sono già in grande sofferenza e le decisioni adottate dal governo porteranno maggior difficoltà, nonostante il governo giuri e spergiuri che nei prossimi giorni arriveranno i soldi per tutti.
Su i media si parla sempre dei commercianti, intesi come padroni delle attività, in estrema difficoltà. Oggettivamente molti commercianti sono in difficoltà, ma quasi nessuno parla dei dipendenti di queste attività che si trovano in mezzo ad una strada. Lavoratori in molti casi precari, o addirittura assunti in nero. Molti di questi lavoratori non avranno nessun ammortizzatore sociale e molti di questi, quando verrà superata la pandemia, perché prima o poi finirà, non avranno più un posto di lavoro.
Per i lavoratori assunti in regola un po’ di respiro ci sarà fino al 21 marzo, in quanto prorogato a quella data il divieto di licenziamento. Forse, perché nonostante il divieto di licenziamento, da marzo 2020 ad oggi sono stati persi più di 700.000 posti di lavoro. Si tenga presente che confindustria ha accettato questa proroga al divieto di licenziamento e l’estensione della cassa integrazione perché a costo zero per i padroni. Nel senso che quella quota che gli industriali normalmente versano per contribuire alla cassa integrazione, verrà versata dalle casse dello Stato e cioè da noi lavoratori.
Di converso, ci sono centinaia di migliaia di lavoratori della grande distribuzione organizzata che si ritrovano nuovamente in prima linea, sempre secondi solo agli operatori sanitari.
In questo momento la situazione per chi lavora nella grande distribuzione alimentare è anche peggiore rispetto a marzo. Questo perché se da un lato i media e le istituzioni invitano a stare a casa, mantenere le distanze, usare la mascherina, ecc ecc, dall’altra parte non c’è ancora nessun freno negli ingressi ai supermercati, come se questi fossero dei luoghi dove il virus non entra.
I carichi di lavoro sono aumentati perché anche i lavoratori della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) si ammalano oppure hanno figli a casa in quarantena insieme ai compagni di classe e quindi per chi rimane in negozio il lavoro aumenta.
Aumentano le richieste di spese on line ed aumenteranno in modo direttamente proporzionale all’intensificazione dei lockdown.
Da un punto di vista sindacale, anche nel grande mondo del commercio si dovrebbero mettere in campo diverse azioni. Ci si aspetta che la direzione sindacale prenda in mano la situazione, attivando i delegati ed i lavoratori. Questo lavoro, ahinoi non viene fatto, quindi è vitale che l’iniziativa parta dal basso.
La nostra area sindacale, Giornate di Marzo, area d’alternativa in CGIL, si propone di lanciare le parole d’ordine necessarie per convogliare ed organizzare il malcontento del settore.
La prima questione, la più stringente, la più immediata è garantire uno stipendio pieno a tutti i lavoratori, per tutta la durata del periodo di lockdown ed anche oltre, perché l’economia non ripartirà a fine pandemia. A tal proposito servono iniziativa dal basso, mobilitazioni di pressione perché le istituzioni diano subito i soldi ai lavoratori.
In secondo luogo serve un intervento deciso nei luoghi di lavoro legato alla questione sicurezza. L’emergenza sanitaria ha approfondito un problema sempre più gravi che ha determinato un aumento significativo degli infortuni e dei morti sul lavoro negli ultimi anni. I ritmi sono aumentati decisamente a scapito della sicurezza di chi vi lavora.
Terzo, serve lanciare una campagna nazionale per il rinnovo dei contratti, a partire dalla grande distribuzione alimentare che anche grazie al lockdown ha visto aumentare i profitti. A titolo esemplificativo, nell’articolo del corriere.it economia del 24 settembre, l’amministratore delegato e la presidente di Esselunga hanno dichiarato + 0,9 % di ricavi nel primo semestre 2020, con una previsione di un + 1,8% entro dicembre. I lavoratori sono stanchi di sentirsi dire che sono eroi ma avere sempre gli stessi miseri stipendi, nonostante i lauti profitti dei padroni.
Crediamo importante puntare sul rinnovo del contratto perché, oltre alle necessità economiche, è prioritario uscire dalla dinamica che nulla si muove perché c’è il covid.
Il covid diventa profitto per i padroni, mentre è dramma per noi lavoratori.
Negli ospedali si curano solo i malati covid, mentre molti altri malati evitano di curarsi, o peggio ancora non possono farlo perché tutto è parametrato sul covid.
Nel mondo del lavoro, nel commercio, nella grande distribuzione si lavora, si fornisce un necessario ed essenziale servizio alla cittadinanza, ci si sente dare degli eroi, ma se provi a chiedere soldi, allora diventi quello che non capisce in che mondo ci troviamo. Che c’è la crisi. Che tutti dobbiamo fare sacrifici. Noi vogliamo i nostri soldi !
E’ necessario partire da subito rivendicando diritti e salario iniziando ad andare a prendere i soldi da chi li ha.