Rinnovo Ccnl Funzioni Centrali: confermata la tendenza al calo dei salari. Il nostro giudizio negativo.
A ridosso delle festività natalizie è stata sottoscritta la pre-intesa per il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori delle Funzioni Centrali 2019-21, il comparto che include i lavoratori dei ministeri, delle agenzie fiscali, degli enti pubblici non economici e del Cnel, scaduto il 31 dicembre 2018.
Un contratto molto importante non solo per i circa 250mila lavoratori statali ma anche perché è storicamente il contratto che orienta i rinnovi contrattuali degli altri comparti che solitamente vengono firmati nei mesi successivi: quelli degli enti locali, della sanità e della scuola.
Il sindacato aveva l’obiettivo di restituire ai lavoratori quanto non era stato in grado di fare il Ccnl 2016-18, contratto che era stato rinnovato dopo diversi anni di blocco. Si può dire che questo rinnovo contrattuale non raggiunge quell’obiettivo.
Vengono rinnovate ed inserite alcune norme quali quelle sul lavoro agile e il lavoro da remoto. Viene modificato l’ordinamento professionale, con un nuovo sistema di classificazione e introdotto un nuovo meccanismo di differenziazione degli stipendi che sostituisce le precedenti fasce economiche e dovrebbe valorizzare maggiormente l’anzianità di servizio e l’esperienza professionale. Sarà necessaria una lettura più approfondita del contratto per verificare se questo sistema da una risposta a tutti i lavoratori.
Tuttavia, tutto l’impianto che premia solo alcuni, mediante il meccanismo della performance individuale resta in piedi, anzi viene rafforzato. Un meccanismo che divide i lavoratori tra di loro, con criteri, tra l’altro, non oggettivi che si basa sulla valutazione del personale da parte dei dirigenti. Ci sembra che le parole di commento al contratto da parte dell’Aran (l’agenzia dello Stato che contratta con i sindacati) inquadrino il concetto: Tale modello consentirà un maggiore agio nello sviluppo professionale del personale delle pubbliche amministrazioni centrali al fine di valorizzare i più meritevoli e incoraggiare percorsi di crescita di maggiore qualità. Il nuovo ordinamento vede infatti, tra gli altri elementi caratterizzanti, l’introduzione di una quarta area, denominata “area delle elevate professionalità” nella quale potrà essere inquadrato personale di livello e preparazione ragguardevole nonché rappresentare un futuro sbocco professionale per i migliori funzionari già presenti nell’amministrazione.
La parte salariale è quella che mostra ancora più chiaramente i limiti di questo rinnovo. Aumenti medi dei tabellari (quelli che riguardano tutti), dal 01/01/21 (dunque a due anni dalla sua scadenza) di 90 euro lordi, pari al 3,78% secondo la Fp Cgil.
In buona sostanza nell’arco del periodo 2010/2021, un periodo di 12 anni, se questo rinnovo dovesse essere confermato, i lavoratori pubblici (sicuramente per ora quelli del comparto Funzioni Centrali) avranno avuto aumenti delle loro retribuzioni complessivamente, inferiori al 8%. Di fatto, piuttosto che essere un cambio di passo, questo contratto conferma la tendenza che vede gli stipendi dei lavoratori pubblici in Italia tra i più bassi in Europa e i salari reali di chi lavora nel nostro paese calare come è avvenuto negli ultimi 30 anni. Appaiono, dunque, lacrime di coccodrillo quelle di chi correttamente protesta per i bassi salari ma poi firma questi contratti.
Non è chiaro come, la segreteria della Fp Cgil, possa sostenere che è “il massimo risultato possibile” senza aver dato continuità allo sciopero generale del dicembre 2020 e senza aver messo in atto nessuna iniziativa di lotta da quando è partita la contrattazione.