La futura lotta per i diritti degli assistenti bagnanti
Pubblichiamo un articolo scritto da un assistente bagnanti.
Il lavoro stagionale d’abitudine è etichettato come “lavoretto estivo”, ma la realtà è un’altra. Parliamo di una figura professionale altamente richiesta, in estate e non solo: l’assistente bagnante (bagnino). Un lavoro che, oltre a comportare rischi e responsabilità si distingue per uno sfruttamento sistematico e dilagante.
LA FORMAZIONE
Chi, come il sottoscritto, ha lavorato come A.B., ha necessariamente dovuto conseguire il brevetto da primo soccorritore acquatico: spesa che costa centinaia di euro (i vari enti non rilasciano certificati gratuitamente). Lo sfruttamento del lavoro comincia subito dopo. Inizia con un tirocinio di 30 ore, che ipoteticamente dovrebbero preparare alla carriera di bagnino. Quello a cui si è sottoposti, in realtà, è un vero e proprio lavoro non pagato nel quale i compiti da svolgere sono spesso i più svariati.
Dopo questa esperienza ci si aspetterebbe un contratto da chi ha beneficiato delle ore gratuitamente offerte alla piscina o allo stabilimento di turno. Non succede quasi mai. Le piscine, infatti, mirano — e ci riescono — a costruirsi una sorta di esercito industriale di riserva. Come lo fanno? Semplicemente non “assumono” (e già qui si usa un termine inusuale), se non personale con esperienza. Nel frattempo i nuovi brevettati dovranno prestare altre ore di servizio non retribuito, a chiamata, o meglio, a “messaggio”. Nel migliore dei casi questi giovani lavoratori saranno pagati con rimborsi spese. L’utilità di avere una massa di giovani usa e getta per uno stabilimento sta nel poter agilmente sostituire i suoi lavoratori “regolari”, in caso di malattia o altro. Va da sé che più grande è il numero dei senza lavoro, maggiore sarà la forza contrattuale degli stabilimenti e quindi la loro capacità di imporre condizioni di lavoro e salari sempre più bassi.
LO SFRUTTAMENTO CONTINUA
Come dicevamo anche i lavoratori “regolari” di regolare hanno ben poco. Spesso appunto si preferisce chiamarli “fissi”. I contratti regolari non esistono e chi non viene retribuito con “rimborsi” di solito non va oltre a forme contrattuali estremamente precarie come la collaborazione coordinata continuativa (co.co.co).
Con lo strumento dei rimborsi i contributi diventano automaticamente un miraggio, ma capita che lo siano anche con il co.co.co.. Forse nessuno di noi ha mai visto contemplata la possibilità di ammalarsi, infortunarsi e, ahimè, nemmeno il giorno libero. È anche capitato di lavorare sette giorni su sette, con turni fino a nove ore, in condizioni climatiche proibitive, ovviamente, senza mai avere una copertura assicurativa.
Per quanto riguarda il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, e si fonda sull’autonomia del professionista nella scelta di orari e modalità e sull’unica funzione contemplata del padrone, definito “committente”: il coordinamento. Nessuna di queste caratteristiche rispecchia il vero rapporto lavorativo tra un assistente bagnanti e il suo “datore di lavoro”. Tuttavia questo contratto posticcio consente al padrone di tagliare un sacco di costi, dovuti alle tutele che spetterebbero con un contratto di lavoro dipendente, quale dovrebbe essere.
Cosa dire, invece, dei rimborsi spese? Cottimo. Non si tratta altro che di cottimo, brillantemente applicato al settore dei servizi. “Tanto fai, tanto di do”. Magari dessero almeno tanto quanto vale il tempo socialmente utile a produrre la prestazione lavorativa! La nostra paga oraria si aggira spesso tra i sei e i sette euro e, va precisato, nemmeno la professionalità di chi fa questo lavoro da un’intera vita paga. Alcuni colleghi alternano turni in piscina con lavori all’interno di supermercati, magazzini e quant’altro.
Alla questione della retribuzione si aggiunge quella delle mansioni. Infatti, come si insegna durante i corsi formativi, un soccorritore acquatico (alias bagnino) dovrebbe essere impiegato solo come soccorritore. Quello che invece osserviamo sono professionisti del soccorso costretti a dividere il proprio tempo fra rilevazione dei valori delle acque, pulizia dei filtri, del piano vasca, spostamento di attrezzatura per corsi di nuoto, apertura di ombrelloni, lettini… e quello che sarebbe la loro professione: la sorveglianza dei bagnanti. Quanto detto non vuole affatto disdegnare il lavoro manuale, ma evidenzia una problematica grave, spesso dimenticata: la responsabilità penale. Ricordiamo, pertanto, ai colleghi e non, che anche quando si trovano nei sotterranei della piscina a monitorarne i valori o a pulire i più disparati filtri (solo per riprendere alcuni esempi), ebbene, anche in questi casi essi sono responsabili di quanto accade in vasca.
Quest’ultimo particolare tende troppo spesso a essere ignorato dai proprietari delle piscine, che, a causa della loro ristrettissima ampiezza di vedute (cioè solo taglio delle spese e massimizzazione dei guadagni), non si rendono nemmeno conto che sarebbe nel loro interesse fornire ai clienti un servizio di salvataggio più adeguato. Assumere più bagnini, retribuirli di più e meglio, distribuire le mansioni!
COVID 19
L’avvento del Covid 19 ha indubbiamente peggiorato le nostre condizioni lavorative: nonostante l’ingente afflusso di clientela nella scorsa stagione estiva, ci siamo visti sprovvisti dei necessari DPI. Lampante è la mancanza mascherine, che, secondo le linee guida delle manovre di soccorso, dovevano essere date in dotazione in numero di due ad ogni bagnino. Non c’erano guanti monouso e scarseggiava persino il disinfettante per i lettini e le altre superfici. Tutto ciò si somma a una carenza strutturale e storica di ordinari dispositivi per la protezione individuale dei lavoratori: già prima della pandemia eravamo sprovvisti del materiale per proteggerci dal contatto e dall’inalazione di sostanze nocive con cui normalmente veniamo in contatto nelle piscine.
In conclusione, possiamo sostenere che il lavoro dell’assistente bagnanti rientri a pieno titolo nel novero di quelli che sono lavori dignitosi, ma sfruttati. La narrazione mediatica e borghese li chiama “lavoretti”, per rendere più agevole il loro lucrare sulle spalle di essi. Noi, invece, ribadiamo che non esistono lavori passibili di sfruttamento. Ovunque i lavoratori hanno bisogno di unirsi e lottare per i propri diritti. Non esiste una lotta di un settore che non sia una lotta dell’intera classe lavoratrice.