Whirlpool: Se esplode la rabbia operaia

Whirlpool: Se esplode la rabbia operaia

Come è noto, il 31 maggio del 2019 la Whirlpool ha comunicato la chiusura del sito di Napoli, uno dei 6
presenti in Italia. La decisione dell’azienda arriva in seguito ad un accordo che prevedeva il rilancio dello
stabilimento e investimenti per 17 milioni di euro, da parte di una multinazionale che vanta profitti per 24
miliardi.
Sulla vertenza intervistiamo Giovanni Fusco, Rsu Fiom-Cgil.


Ci riepiloghi i passaggi decisivi della vertenza?
La Whirlpool arriva in Italia nel 2015 quando rileva il gruppo Merloni (Indesit, Ariston, Hotpoint) per evitare
l’accesso dei cinesi sul mercato europeo. L’operazione viene favorita dal governo Renzi che, dietro la
garanzia della tutela occupazionale, intercede con la famiglia Merloni, da molto tempo legata al Pd. La
Campania paga con un primo pesante accorpamento degli stabilimenti. Il sito di Carinaro Teverola (Caserta),
che contava 1.600 dipendenti, viene smantellato. Era uno stabilimento storico, che aveva iniziato a produrre
50 anni fa. Solo 300 lavoratori vengono traferiti nel comparto logistico, per il resto la partita si è chiusa con
incentivi all’esodo, qualche trasferimento e molta deindustrializzazione. L’accordo prevedeva che 100
lavoratori sarebbero stati trasferiti a Napoli ma sono arrivati solo in 6 perché i volumi non sono cresciuti
sufficientemente. Viene inoltre fatto ampio ricorso alla cassa integrazione (al 40-50%).
Nel 2018, scaduto il Piano Italia di Renzi, Di Maio si siede al tavolo con l’azienda e raggiungono un nuovo
accordo che prevede investimenti nel sito di Napoli e il rilancio della fabbrica. Napoli, ricordiamolo, è il polo di
produzione di lavatrici di alta gamma con alto valore aggiunto.
Col passare dei mesi, però, e nonostante le pressioni che facciamo alla Whirlpool, non otteniamo nessuna
informazione sull’avvio degli investimenti. Il 31 maggio l’azienda convoca i sindacati e i coordinamenti di tutti
gli stabilimenti del gruppo a Roma e durante l’incontro ci mostra una serie di slide con i siti e i piani di
investimento per ciascuno. Arrivata a quella di Napoli vediamo una spunta rossa e sentiamo l’azienda
dichiarare la cessione del nostro sito.
L’incontro si è immediatamente interrotto perché siamo andati direttamente al ministero. Lì è iniziata la
nostra battaglia.
Cosa è successo da quel momento?
Da allora non abbiamo avuto più risposte, l’azienda ripete solo la litania dell’insostenibilità economica dello
stabilimento. La novità è che pare stiano facendo degli investimenti
in Cina. Inizialmente le lavatrici prodotte in Cina erano destinate al mercato americano, ma con le scelte
politiche di Trump e i dazi commerciali, immaginiamo che verranno riversate in Europa.
Dopo l’interessamento di un’azienda fantasma svizzera, ben presto tramontato, oggi la situazione è
complessa. L’ultimo incontro ha visto al suo termine una dura contestazione dei lavoratori. Avevano ragione
perché l’esito non è stato positivo.
L’unica prospettiva ad oggi è Invitalia, ma conosciamo la sua storia. Le “reindustrializzazioni” in Italia negli
ultimi dieci anni sono state un modo elegante per scaricare i lavoratori, basta vedere quello che è successo
con la Blue Tech, Termini Imerese, l’Irisbus o la Ventures in Piemonte. I lavoratori vengono mandati per
strada e le aziende prendono i soldi pubblici. In ogni caso la Whirlpool ha dichiarato che il 31 ottobre andrà
via da Napoli. I lavoratori hanno già scelto, se Whirlpool non torna sui suoi passi non accetteranno una finta
reindustrializzazione.


All’inizio della vertenza c’era molta speranza nel Movimento 5 Stelle.
Fin dall’iniziò la nostra lotta l’allora ministro Di Maio, almeno a parole si è mostrato al fianco dei lavoratori.
Alle elezioni politiche nella nostra zona il Movimento 5 Stelle ha raccolto il 60% dei voti. Sono stati visti come
qualcosa di distante dai partiti esistenti. Il loro risultato è stato uno sfogo della popolazione. La loro
esperienza non va messa completamente da parte, però bisogna scegliere da che parte stare, non si può dire
che non si è né di destra né di sinistra. Oggi stanno pagando alcune scelte fatte, anche agli occhi dei
lavoratori. La vertenza della Whirlpool è strettamente legata al futuro del Movimento 5 Stelle perché sono loro
che sin dall’inizio hanno gestito, per conto del governo, questa crisi industriale rassicurando i lavoratori e
riaprendo alla possibilità delle nazionalizzazioni.


Pensate che la nazionalizzazione sia un’alternativa?
Servirebbe la riscoperta del ruolo attivo industriale del pubblico. Il nostro stabilimento ha una storia di 70 anni
e non possiamo lasciare i lavoratori per strada. Gli operai della Whirlpool condividono tutti questa
rivendicazione. Chiaramente per il momento non abbiamo ancora portato questa proposta ai tavoli con il
governo perché vogliamo che venga rispettato l’accordo che abbiamo con la Whirlpool. Rimanere nella logica
del libero mercato in questo contesto, dove le multinazionali fanno il bello e il cattivo tempo e decidono se e

quando rispettare gli accordi presi, non porta da nessuna parte. Serve un intervento che renda stabile
l’occupazione.


A che punto è la lotta e quali saranno i prossimi passi?
Abbiamo provato a trasformare la nostra vertenza in una lotta operaia simbolo del Mezzogiorno.
Dopo il 31 maggio abbiamo fatto venire i lavoratori di diverse fabbriche campane e dell’indotto che ci hanno
mostrato il loro appoggio, la nostra è una vertenza della città. Gli striscioni appesi ai cancelli della nostra
fabbrica rappresentano sia noi che tutti i lavoratori che ci sostengono.
Abbiamo una cassa di resistenza per la lotta che ci ha permesso anche di andare a fare le assemblee di
fabbrica negli altri stabilimenti.
Il problema di uno è il problema di tutti.
Non è sempre semplice. Dopo ogni nostra assemblea di fabbrica ce ne sono altre organizzate dalla
Whirlpool, che prova in ogni modo a creare divisioni tra noi e tutti gli altri operai. Una volta che i lavoratori
vengono messi l’uno contro l’altro il padrone ha vinto.
A breve ci saranno un’assemblea nazionale con sciopero e manifestazione nazionale.
Noi combatteremo perché vogliamo lavorare, ma se la situazione precipita non so cosa potrà succedere.
Qualche giorno fa abbiamo detto al prefetto che di fronte ad una chiusura dell’azienda non sappiamo che
reazione ci potrà essere da parte dei lavoratori. Se porti gli operai in un vicolo cieco la loro rabbia potrebbe
essere incontrollabile.