Solo i lavoratori possono salvare Stellantis dal tracollo

Solo i lavoratori possono salvare Stellantis dal tracollo

Il calo della produzione di auto in Italia ha preso le dimensioni di un tracollo. Nei primi sei mesi del 2025 sono state prodotti 221.805 veicoli, con un calo del 26,9% rispetto a un già disastroso 2024.

Gli impianti Stellantis utilizzano solo il 30% della capacità produttiva e su 32.700 addetti oltre 20.300 sono in regime di ammortizzatori sociali (cassa integrazione in deroga o contratti di solidarietà).

Recentemente sono stati rinnovati gli ammortizzatori sociali a Mirafiori per circa 3000 addetti, Pomigliano, dove la CIG è stata rinnovata per 3750 addetti, a Melfi (4860), mentre appare sempre più nebuloso il futuro di Termoli (200 esuberi dichiarati, 2000 in contratto di solidarietà) con la promessa della Gigafactory che appare sempre più una chimera. Per la prima volta, nei mesi scorsi, l’AD Filosa e il responsabile Europa Imparato hanno ventilato il rischio di chiusure di impianti in Italia, anche in relazione ai dazi e all’innalzamento dei costi energetici.

Le politiche fin qui seguite, fatte di ammortizzatori sociali e dei soliti incentivi, non possono garantire il futuro di Stellantis in Italia. Si pone con urgenza per il sindacato e soprattutto per i lavoratori la questione di quale strategia possa garantire un futuro industriale e occupazionale al settore. È chiaro che, con questi livelli di produzione, nella maggioranza degli stabilimenti l’arma dello sciopero ha una leva limitata nei confronti dell’azienda. Questo non significa che gli scioperi a determinate condizioni non servano, ma è necessario entrare su un terreno direttamente politico.

A livello internazionale è sempre più forte la tendenza degli Stati a entrare direttamente nella proprietà e in parte anche nella gestione, delle aziende strategiche, di cui l’automotive è certamente uno.

Questo si lega sia al protezionismo economico che alla crescente spinta verso le produzioni belliche e in generale all’idea che la “sicurezza” degli interessi capitalistici (controllo dei mercati, delle tecnologie, della ricerca, delle fonti di approvvigionamento) debba essere tutelata con un forte impegno dello Stato.

In Germania, ad esempio, la crisi Volkswagen ha visto la proposta di riconvertire alla produzione bellica uno dei quattro stabilimenti a rischio chiusura, con relativo investimento dello Stato. Recentemente in USA lo Stato ha usato i suoi poteri di veto per impedire la vendita della US Steel a una multinazionale giapponese, e successivamente Trump ha annunciato l’ingresso nel capitale di Intel (semiconduttori) con una quota del 10%.

La stessa Stellantis come sappiamo vede la presenza fra gli azionisti dello Stato francese.

A questa situazione fa da contraltare la fuga degli Agnelli. La vendita di Iveco lo rappresenta chiaramente, con la parte militare (Iveco Defense) acquisita da Leonardo (di proprietà statale) per 1,7 miliardi, mentre la parte civile è stata venduta alla multinazionale indiana Tata per 3,8 miliardi. Elkann e famiglia monetizzano uno dei gioielli e si preparano a distribuire l’attivo della vendita con un dividendo straordinario agli azionisti, ossia in primo luogo a sé stessi, visto che ne controllavano il 27%.

Oggi lo Stato deve intervenire continuamente come stampella e guida di un capitale privato sempre più parassitario. Si pretende che siano i soldi pubblici a creare il mercato, a finanziare gli investimenti e persino a pagare parte della forza lavoro, mentre agli azionisti resta solo da spartirsi i profitti e defilarsi quando ci sono perdite.

Ribaltiamo questa logica e mettiamo al centro al centro della lotta una parola d’ordine semplice e chiara: nazionalizzare, senza indennizzo, gli impianti Stellantis. Non un euro in più per azionisti parassitari e manager strapagati, tutte le risorse vadano a una Stellantis pubblica, controllata dai lavoratori, produca nell’interesse della società, delle compatibilità ambientali e dei diritti dei lavoratori!

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