Amazon: terremoto in Alabama.
Per la prima volta in 26 anni Amazon potrebbe perdere la battaglia per tenere il sindacato fuori dai suoi magazzini negli Usa.
a cura di un gruppo di lavoratori Amazon
Lo scorso novembre, otto mesi dopo l’apertura dell’Amazon Fulfillment Center (BHM1) a Bessemer, un piccolo sobborgo di 27mila abitanti di Birmingham, Alabama, nel profondo e razzista sud repubblicano, i lavoratori guidati dal Sindacato dei Lavoratori al Dettaglio, all’Ingrosso e dei Grandi Magazzini (RWDSU), hanno presentato una petizione al National Labour Relations Board per votare la possibilità di far entrare il sindacato nel magazzino.
Non solo Amazon, ma tutto il padronato statunitense, che storicamente ha visto il Sud come una sorta di colonia dove sfruttare i lavoratori grazie a leggi sul lavoro e ambientali reazionarie e a una classe operaia divisa su linee razziali, ha subito un vero shock.
Finora Amazon era riuscita a tenere i sindacati fuori da tutti i suoi centri di distribuzione negli Usa, dove a fine 2020 lavoravano circa 1 milione di persone. Bessemer si trova in una regione dove il 25% della popolazione è povera e la forza lavoro di Amazon è per l’85 per cento nera e il 65% femminile. Questo è il contesto dove Amazon rischia di perdere la prima vera sfida contro la classe operaia, l’entrata ufficiale del sindacato nel magazzino.
Contro il sindacato vale tutto
Amazon ha provato subito a impedire il voto e rappresentata dallo studio legale Morgan Lewis, – il principale studio di avvocati specializzato in battaglie antisindacali – ha dichiarato che le firme raccolte con la petizione per poter votare erano insufficienti. Il sindacato aveva presentato una petizione lo scorso 20 novembre con le firme di almeno il 30 per cento dei lavoratori del magazzino (come richiede la legge) che calcolava in 1.500. La società ha presentato dei documenti sostenendo che nel magazzino lavoravano più di 5.700 lavoratori e quindi 1.500 firme non erano sufficienti! Nonostante ciò il rappresentante federale ha accolto la richiesta del sindacato.
L’azienda ha provato ancora a ritardare la votazione rifiutando di accettare il voto postale proposto dai lavoratori a causa della pandemia e ancora una volta il National Labour federale ha respinto la richiesta aziendale dichiarando che le votazioni si sarebbero svolte per posta, tra l’l 8 febbraio e il 29 marzo.
Il magazzino di Bessemer è stato aperto nel marzo del 2020, all’inizio della pandemia. È una struttura di quattro piani di 82mila metri quadrati in una delle comunità più povere dell’Alabama. Il consiglio comunale di Bessemer aveva accolto con entusiasmo l’apertura del centro di distribuzione, presentando i posti di lavoro che sarebbero stati creati, a ben 15 dollari all’ora contro i 7,25 previsti dal salario minimo, come una grande opportunità per la comunità locale.
Vogliamo ricordare a chi non lavora in Amazon che l’azienda pretende che i suoi lavoratori si considerino non dipendenti, ma “soci” di un “club di gente che fa la storia” che si chiama Amazon. Una propaganda martellante, un salario al di sopra della media e alcuni benefit distribuiti tra i lavoratori avrebbero dovuto, secondo l’azienda, contribuire a creare quell’immagine di “grande famiglia” in cui il sindacato non serve perché ogni lavoratore può risolvere i propri problemi parlandone col proprio responsabile, con la certezza che Amazon avrebbe risolto qualsiasi problema.
La portavoce di Amazon Lisa Levandowski ha dichiarato alla CNBC che l’azienda rispetta il diritto dei lavoratori di aderire o meno a un sindacato: “In Amazon, comprese le nostre strutture operative, diamo un enorme valore al rapporto diretto e quotidiano con ogni collaboratore“. Ovviamente per lei ascoltare i singoli lavoratori è meglio che avere i lavoratori organizzati in un sindacato. Come mai? Come sostiene il sindacato RWDSU in media i salari nelle aziende della logistica sindacalizzate come Ups sono un 30% superiori ad Amazon. Amazon non vuole che i suoi lavoratori pensino al plurale (noi) ed esalta il ruolo dell’individuo come il paradiso delle libertà.
Del resto è fuori discussione che la multinazionale è infinitamente più forte contro ogni singolo lavoratore, per questo i suoi dirigenti non vogliono il sindacato. “Per me, sono qui da quasi quattro anni e non è qualcosa che voglio“, ha detto Abdirizak Abdi, assistente di processo nel magazzino di Amazon’s Shakopee, Minnesota. “Sono davvero felice e mi godo l’atmosfera e quello che fanno per i nostri clienti e anche per i nostri collaboratori.” Allison Clawson, che è anche assistente di processo presso la struttura di Shakopee, è d’accordo con Abdi e ha detto che l’azienda incoraggia i lavoratori a esprimere le loro preoccupazioni con i manager, in particolare attraverso la lavagna Voice of the Associate sul posto di lavoro.
Amazon usa le più avanzate tecnologie per essere padrona di ogni secondo del tempo di vita dei suoi “soci” in azienda. Ma l’accelerazione disumana dei ritmi, i problemi di salute e di sicurezza peggiorati dalla pandemia e l’ambiente di lotta sociale e politica che sta attraversando gli Usa negli ultimi 12 mesi, ha provocato un cambiamento radicale della coscienza di molte di queste lavoratrici dell’Alabama.
Sfruttamento e coscienza di classe
Il sito Motherboard Usa ha realizzato una lunga intervista ai lavoratori Amazon e agli attivisti sindacali che provano a organizzarli. Ci sono pezzi come questo:Golden Stewart Jr., un imballatore Amazon di 22 anni e aspirante artista hip hop, mi ha detto che il rifiuto di Amazon di offrire ampie pause rende il lavoro “miserabile”. “Non hai tempo per fare nulla durante la tua pausa”, ha detto Stewart. “Esisti e basta.”
“Mi è stata diagnosticata una grave depressione e ansia e Amazon non aiuta”, ha detto. “Sembra che tu sia sempre solo. Sei davvero solo un ingranaggio di un motore.” L’ansia è aggravata dal vedere i suoi colleghi perdere il lavoro. “Mi sento costantemente come se dovessi lasciarmi andare in qualsiasi momento.
L’argomento antisindacale che va per la maggiore negli stati del sud degli Stati uniti è quello di far passare l’idea tra i lavoratori che il sindacato sia diretto da un gruppo di bacchettoni bianchi del nord. Amazon ci ha provato a far passare questa idea, ma ha trovato subito pane per i suoi denti. Il sindacato RWDSU è riuscito con lotte molto dure a sindacalizzare quasi tutti gli impianti di lavorazione del pollame del sud-est e solo ad Alabama ha 7.500 iscritti. Organizzati in questo sindacato i lavoratori della Koch Foods avevano fatto uno sciopero e una manifestazione il 3 giugno 2020, costringendo l’azienda a fornire equipaggiamento protettivo e condizioni più sicure durante la pandemia. I lavoratori della Koch Foods sono parenti, amici, vicini di casa di tanti altri lavoratori, tra cui quelli di Amazon, che davanti a questa vittoria, vivendo gli stessi problemi, hanno pensato che era arrivato anche per loro il momento di organizzarsi per difendere i propri interessi.
Una battaglia per la dignità
Jennifer Bates, lavoratrice del magazzino Amazon-Bessemer, si è iscritta al sindacato la scorsa estate e insieme ai suoi compagni si considera “entusiasta” per il fatto che finalmente si voterà per avere il sindacato in azienda, ha sofferto molto per il lavoro pesante e gli straordinari obbligatori. Alla tv CBS ha dichiarato “Siamo trattati come se fossimo prigionieri che sono lì per portare a termine un lavoro“. Il suo collega Daryl Richardson ha detto che le sue maggiori preoccupazioni sono il rispetto e la sicurezza sul lavoro: “È tempo per noi di prendere una posizione. È tempo di portare alcuni cambiamenti“. “Ciò di cui la comunità non si rende conto è quello che succede dietro le quinte”, ha detto Bates. “Cosa stanno passando le persone solo per assicurarsi che riceviamo i nostri pacchi?”
Il New York Times ha raccontato la pausa pranzo di Jennifer con queste parole: “ …si allontana dal suo posto nel magazzino di Amazon dove lavora, il tempo inizia a ticchettare. Ha 30 minuti esatti per andare in mensa e tornare per la pausa pranzo. Ciò significa attraversare un magazzino delle dimensioni di 14 campi da calcio, che consuma tempo prezioso. Evita di portare il cibo da casa, perché riscaldarlo nel microonde le costerebbe ancora più minuti. Invece opta per panini freddi da 4 dollari dal distributore automatico e si affretta a tornare al suo posto. Se ce la fa, è fortunata. Se non lo fa, Amazon potrebbe tagliarle lo stipendio o, peggio, licenziarla”.
Come risposta all’intransigenza di Amazon la battaglia per il diritto ad avere un sindacato in azienda si è esteso a tutta la comunità. Diversi lavoratori delle aziende avicole affiliati alla RWDSU nella zona usano una clausola dei loro contratti di lavoro che li permette di assentarsi per diverse settimane senza perdere il lavoro per assicurare da mesi un picchetto di decine di attivisti al semaforo della statale dove si gira per entrare ad Amazon-Bessemer. In migliaia di conversazioni veloci si è riuscito a convincere quel 30% della forza lavoro che ha firmato a favore del sindacato. Amazon è riuscita perfino a ridurre il tempo del rosso del semaforo pur di ostacolare l’azione sindacale. Ma la cosa più importante è che gli attivisti, molti dei quali sono neri, vengono di comunità uguali a quelle di chi riceve il volantino.
Stuart Appelbaum, presidente di RWDSU, segnala che il movimento di Black Lives Matter è stato cruciale. “Non è solo una questione di ritmi o di salari, è ora che queste lavoratrici siano rispettate”. La caparbietà antisindacale di Amazon sta creando le condizioni per uno scontro politico di proporzione nazionale. Perfino il presidente Biden si è visto obbligato a dichiarare che “gli impiegati di Amazon devono essere liberi di sindacalizzarsi”
Come ha scritto l’agenzia Bloomberg, “Amazon organizza riunioni in orario di lavoro per difendere le proprie ragioni. Gli incontri durano in genere una mezz’ora e si rivolgono a circa 15 dipendenti alla volta, presentando come fatti “neutrali” le sue ragioni per essere contro il sindacato. Fa trovare propaganda nei gabinetti, mentre tutti ricevono degli sms con slogan contro il sindacato. Hanno perfino creato un sito web specifico contro il sindacato, usando lo slogan: “perché pagare le quote sindacali, quando l’azienda ti da gli stessi risultati senza il sindacato”. Infine i giornali e le tv locali sono pieni di programmi “neutrali” che espongono le ragioni dell’azienda.
Finora Amazon è riuscita a tenere i sindacati fuori dai suoi magazzini. Nel marzo 2020 la RWDSU aveva organizzato uno sciopero in un piccolo magazzino a Staten Island, New York, per la mancanza di equipaggiamento protettivo, ma la direzione ha licenziato il principale dirigente della lotta, Chris Smalls, accusandolo di aver partecipato ad un picchetto mentre doveva essere in quarantena. Tutti i lavoratori che hanno scioperato con lui sono stati licenziati.
Tim Bray, si dimise dalla vicepresidenza di Amazon poche settimane dopo, dichiarando che non poteva restare al suo posto mentre gli impiegati venivano costretti al silenzio. In ottobre 2020, l’azienda confermò che 20.000 dei suoi lavoratori si erano contagiati di coronavirus.
Un gigante vulnerabile se “i soci” si organizzano e lottano
Amazon vuole stravincere anche in Alabama e perciò sta utilizzando tutte le forze a sua disposizione, che sono parecchie. Ma ciò sta provocando una reazione di segno opposto e di una forza simile e probabilmente superiore. Ormai lo scontro è politico. Non è solo la possibilità di avere una bacheca sindacale e dei delegati eletti, è molto di più: trovare la forza come popolo sfruttato da secoli di alzarsi in piedi e sentirsi capaci di lottare per una vita dignitosa.
In queste condizioni una vittoria del voto a favore del sindacato sarebbe un evento storico. Amazon non solo si troverebbe il sindacato per la prima volta in casa, ma anche una base sindacale determinata e consapevole della propria forza, capace di unirsi nella lotta per un obiettivo comune.
I lavoratori di strutture come Bessemer sono in grado di esercitare un potere significativo. La vulnerabilità di Amazon è la sua gestione della catena di approvvigionamento, un meccanismo preciso come un orologio basato sul sofisticato coordinamento dell’inventario dei prodotti a livello nazionale ed internazionale e della catena logistica dei trasporti fino al cliente finale. Tutto è controllato dall’algoritmo in tempo reale. Nei magazzini i milioni di prodotti non hanno una posizione specifica. Vengono sistemate dove c’è posto. Poi l’algoritmo li fa trovare ai lavoratori nel minor tempo e alla maggior velocità possibile. Amazon unisce la più evoluta tecnologia informatica al controllo tayloristico del tempo di lavoro, nella migliore tradizione fordista. Sa di arraffare il maggior profitto possibile di ogni secondo della vita che i suoi dipendenti gli cedono nei magazzini e per poter continuare a farlo indisturbata non vuole un sindacato tra i piedi.
Ma se i lavoratori di Bessemer vincono e riescono ad imporre il sindacato in Alabama, il milione di lavoratori degli Usa lotterà per avere gli stessi diritti. Con Amazon non possono trattare sindacati all’acqua di rose, amici dei democratici come Biden. Infatti Bezos li ha sempre disprezzati. Per difendere i lavoratori di un’azienda che ha visto una crescita del 600% del valore delle sue azioni tra il 2016 e il 2020, ci vuole un sindacato combattivo, deciso a organizzare capillarmente i suoi iscritti e consapevole che la forza per le trattative viene solo dal coinvolgimento attivo dei lavoratori. Di fronte ad azioni coordinate a livello nazionale e perfino internazionale la filosofia “just in time” di Amazon può collassare.
Per 25 anni Amazon è riuscita a impedire la sindacalizzazione dei suoi centri negli Usa. In Europa e altri paesi ha provato a ostacolare sempre le attività sindacali. La flessibilità incorporata nel modello di business di Amazon, che consente la consegna in giornata e l’efficienza dell’ultimo miglio, può essere utilizzata anche per ostacolare l’organizzazione dei lavoratori se questa rimane isolata in singole strutture.
Se la forbice tra il modello di business e le condizioni di lavoro di Amazon continua ad allargarsi, i salari e le condizioni di lavoro di milioni di lavoratori, compresi gli oltre 200mila impiegati presso UPS Usa sindacalizzati nei Teamsters, saranno in pericolo.
L’alternativa al modello Amazon
Questo natale abbiamo sentito della proposta di organizzare un boicottaggio di Amazon “per difendere il piccolo negozio vicino a casa”.
Certamente ci sembra stupido e alienante il comportamento di chi compra compulsivamente in Amazon, ma come attivisti sindacali non crediamo che questo sia il modo corretto di opporsi a questa multinazionale.
Amazon ha rivoluzionato – attraverso l’applicazione massiccia di nuove tecnologie e lo sfruttamento scientifico del tempo di lavoro dei suoi dipendenti – l’attività commerciale in senso lato. Nel farlo non ha trovato rivali, tranne in Cina dove da luglio 2019 ha deciso di vendere solo prodotti non cinesi, dopo aver provato a contrastare la multinazionale cinese Alibabà e veder passare la sua quota di mercato del 15% nel 2012 al 1% del 2018. Amazon fa lo stesso in India, non offre prodotti locali. Ma queste sono eccezioni. Nel resto del mondo Amazon cresce da anni tra il 20 % e il 40% ogni anno e gli azionisti sono convinti che continuerà a farlo. Da ciò deriva l’aumento del prezzo delle azioni negli ultimi anni.
A monte e a valle della catena della produzione e la commercializzazione dei prodotti, Amazon erode margini di guadagno, quando non sostituisce direttamente le aziende che fino a ieri formavano parte della sua filiera. Il caso più evidente è la sostituzione di aziende della logistica come Ups o Dhl con le proprie. O la produzione “in house” di prodotti di largo consumo tra la sua clientela. Alla ricerca del massimo profitto Amazon ha rivisto consuetudini secolari nell’ambito del commercio.
Non possiamo opporre a questo modello, la proposta di tornare al negozio all’angolo, dove, sia le condizioni di lavoro, che tutto il resto non sono necessariamente migliori. E anche perché farebbe il gioco di Bezos che si presenta sempre come dedito a soddisfare ogni capriccio della sua clientela. La nostra alternativa deve essere quella di lottare per migliorare le condizioni di lavoro in Amazon, evidenziando allo stesso tempo, che questo modello aziendale mostra rozzamente quello che potrebbe essere un moderno sistema di pianificazione e distribuzione delle merci necessarie – non i capricci stupidi – alla popolazione.
Finché Amazon è in mano agli azionisti lottiamo a muso duro per difendere le nostre condizioni di lavoro e di vita. Ma difendiamo già da oggi la nostra alternativa in Amazon e in tutte le grandi aziende, banche e assicurazioni: la nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori e degli utenti in un sistema socialista basato sulla democrazia operaia.
Che questo diventi una possibilità reale dipende dal cambiamento rivoluzionario nella coscienza della maggioranza della popolazione, che non avrebbe che da guadagnare da un cambiamento rivoluzionario di queste caratteristiche. Un cambiamento che può diventare realtà se, in mezzo alla crisi epocale nella quale ci troviamo, si riesce a presentare un’alternativa al sistema capitalista come qualcosa di logico, di credibile e di attuabile perché conta sempre di più sull’appoggio convinto delle masse sfruttate. Processi di cambiamento nella coscienza che – se guardiamo con attenzione – sono già presenti, nella lotta per sindacalizzare il magazzino Amazon Fulfillment Center (BHM1) in Bessemer (Alabama).
BOX
I profitti di Amazon
Nel 2020 l’azienda nata a Seattle (stato di Washington, Usa) nel 1994 fatturò 386.064 milioni di dollari, un 38% in più del 2019, cioè 42,64 dollari per azione, invece dei 23,46 del 2019. I guadagni dichiarati sono di 21,3 miliardi di dollari. Più della metà vengono della divisione Cloud del gruppo (Amazon Web Services) il cui fatturato è cresciuto nel 2020 del 30%. Con questi numeri e le prospettive per i prossimi anni non ci stupisce che il valore delle azioni sia aumentato del 640% negli ultimi 60 mesi.
Amazon ha aumentato significativamente il debito a lungo termine nel 2020, arrivando a 31.816 milioni di dollari, mentre era di 23.414 alla chiusura del bilancio del 2019.
Il commercio online, il ramo Amazon più proficuo, continua ad avere il suo punto principale di forza soprattutto in Nordamerica, dove lo scorso anno ha fatturato 236.282 milioni di dollari, il 38,4% in più del 2019.
Nel resto del mondo dove è presente in tutti i principali mercati, le entrate di Amazon arrivarono a 104.412 milioni di dollari, con una crescita del 39,7%.
Evoluzione dei profitti tra 2010 e il 2020
Anno Profitto/Perdita di bilancio in milioni di $
2010 1.152
2011 631
2012 -39
2013 274
2014 -241
2015 596
2016 2.371
2017 3.033
2018 10.073
2019 11.588
2020 21.300