LA LOTTA DEI LAVORATORI SICOR E’ LA LOTTA DI OGNUNO DI NOI

LA LOTTA DEI LAVORATORI SICOR E’ LA LOTTA DI OGNUNO DI NOI

Tutto il mondo è paese. La situazione dei lavoratori della Sicor di Rovereto (Tn) è un esempio di come funzionano le relazioni industriali 4.0, in un territorio peraltro dove le istituzioni blaterano spesso di coesione sociale e di autonomia, mascherando una realtà ben peggiore ed è allo stesso tempo un esempio di come attraverso l’esperienza diretta i lavoratori maturano la propria coscienza ed affrontano importanti insegnamenti.

Sicor è un’azienda specializzata nella costruzione di riduttori meccanici per ascensori, dove negli ultimi quattro mesi si sono verificate diverse azioni di lotta contro la disdetta unilaterale del Ccnl dei metalmeccanici dell’industria e del contratto aziendale.

Quello degli ascensori è un settore che durante la crisi mondiale non ha avuto contraccolpi e l’azienda ha continuato ad investire in tecnologia e a fare utili anno dopo anno. Se nel 2006 i dipendenti erano 50, ora sono più di 150 e tutti assunti a tempo indeterminato. Sono circa 100 operai e circa 50 tra impiegati e quadri. Questo spiega anche perché fino a quest’anno le relazioni industriali non nono mai state particolarmente tese. La contrattazione integrativa aziendale c’è dagli anni ‘90. Ai lavoratori erano riconosciuti un superminimo collettivo aziendale non assorbibile pari a 196 euro lordi mensili per un operaio di terzo livello; la quattordicesima mensilità ed il premio di risultato.

Pur non navigando i lavoratori nell’oro, si tratta di una fabbrica dove il lavoro non è mai mancato e il di più era diventato ormai una prassi consolidata. Ciò aveva determinato in essi la convinzione che tutto sommato era meglio “non svegliare il can che dorme” e, se era necessario, fare anche qualche piccolo sacrificio per vivere con una certa sicurezza. L’anno scorso la direzione aziendale aveva chiesto un primo taglio al costo del lavoro, lamentando un piccolo calo del fatturato. I lavoratori avevano accettato la sostituzione del pagamento del premio di risultato in cambio di una molto meno sostanziosa una tantum, auspicando che questo sacrificio avrebbe dato all’azienda la possibilità di un rilancio nel 2020 e sperando di recuperare quanto stavano cedendo.

L’illusione di essere difronte ad una difficoltà temporanea è sparita nel giugno di quest’anno, quando la Rsu, allora completamente in mano alla Fiom, è stata convocata dalla direzione, che pretendeva di rivedere la contrattazione di secondo livello anche a causa del calo di produzione seguito alla pandemia in corso. La trasformazione della quattordicesima in premio di risultato variabile e la messa in discussione del superminimo erano troppo ed i lavoratori hanno respinto le richieste aziendali, essendo disponibili al massimo a ridurre temporaneamente il costo del contratto integrativo. Come dare loro torto, a maggior ragione in una situazione dove i tre turni di lavoro continuavano normalmente e l’azienda aveva fatto fare straordinari il mese precedente?

A fine giugno l’azienda ha comunicato ufficialmente ai lavoratori la propria intenzione di recedere dall’integrativo. La Fiom ha minacciato azioni legali contro il padrone ma l’amministrazione non ha fatto alcun passo indietro e a metà luglio ha comandato tre straordinari da fare per tre sabati consecutivi. Da quel momento le relazioni industriali si sono fatte sempre più dure. La Rsu ha proclamato lo sciopero per tutti i tre sabati e in risposta l’azienda ha comunicato ufficialmente il recesso, mantenendo solo il superminimo per alcuni lavoratori.

Da lunedì 20 luglio a venerdì 24 luglio i lavoratori sono stati in sciopero, decidendo cosa fare giorno dopo giorno in assemblea, con adesioni massicce, superiori generalmente al 75%. Erano anni che in Trentino non si vedeva un’azione così prolungata e decisa.

Nelle settimane successive la produzione è stata rallentata da scioperi a singhiozzo, con gli operai che uscivano in presidio, ricevendo anche la solidarietà ed il sostegno attraverso una cassa di resistenza da parte di diverse realtà di fabbrica territoriali, preoccupate dal fatto che quanto stava succedendo alla Sicor avrebbe potuto replicarsi anche nelle loro fabbriche.

La situazione è precipitata ulteriormente a fine settembre quando c’è stato il rinnovo della Rsu. Alla vittoria della Fiom è corrisposta l’elezione di un delegato della Fim Cisl, sintomo che la lotta dura non è ben accetta da parte di una minoranza di lavoratori che, nel complesso, hanno però dimostrato di sostenere anche in quell’occasione la vertenza. Poche ore dopo l’esito delle votazioni, l’amministratore delegato ha comunicato il recesso dal Ccnl. Il giorno successivo è stato proclamato unitariamente lo sciopero in azienda con un’adesione al 90%.

Difronte a questo attacco feroce, la Rsu ha indetto un referendum fra i lavoratori il 20-21 ottobre per decidere come proseguire la vertenza. Da una parte la Fim Cisl, possibilista a rinegoziare in peggio la contrattazione integrativa pur di sperare di far rientrare Sicor nel Ccnl e di riottenere una contrattazione di secondo livello e la Fiom Cgil dall’altra, non disposta a lasciare sul campo alcunché. La posizione rappresentata dalla Fiom è risultata maggioritaria soprattutto fra gli operai ma finora il padrone non è arretrato e quindi è necessario capire come muoversi in futuro.

La vertenza che i lavoratori stanno vivendo ha insegnato loro quanto sia necessario e difficile creare unità fra i lavoratori per ottenere risultati. Hanno riscoperto l’utilità di organizzarsi in un sindacato indipendentemente dalle proprie opinioni politiche. Hanno constatato che non hanno partiti che li rappresentano e che i politici che si sono avvicinati alla loro vertenza hanno piuttosto sfruttato l’occasione per farsi ipocritamente pubblicità. Hanno sperimentato la durezza della lotta e la solidarietà di altri lavoratori ma finora i recessi dalla contrattazione sono rimasti e questo a lungo andare può lasciare spazio allo scoramento e alla rassegnazione in assenza di una strategia di lotta.

La via legale intrapresa dalla Fiom può essere utile per fare pressione sul padrone ma non è risolutiva di nulla: mentre si aspettano le decisioni del giudice, i lavoratori si impoveriscono e sono oggetto di forti pressioni da parte della direzione aziendale. D’altra parte scioperare è giusto e sacrosanto ma lo sciopero è uno strumento che va utilizzato con razionalità e può non dare risultati immediati. Al momento i lavoratori stanno tirando il fiato in attesa di capire come si evolverà la trattativa ma nel frattempo la Fiom deve preparare la fase successiva.

La vertenza Sicor non riguarda solo i lavoratori dell’azienda ma tutti noi. Il sindacato deve organizzare una vertenza che includa anche le altre fabbriche trentine perché altrimenti i lavoratori della Sicor rischiano di rimanere isolati. La solidarietà fattiva dimostrata è un ottimo punto di partenza, che deve però consolidarsi ed espandersi attorno alla determinazione che i lavoratori Sicor hanno dimostrato in questi mesi. Solo l’unione dei lavoratori può permettere domani ai lavoratori Sicor ed in futuro ad altre realtà di battere i padroni e a far capire anche ai lavoratori oggi più restii alla lotta che siamo in una fase storica dove la contrapposizione degli interessi di classe non verrà attutita dall’illusione nella saggezza di azionisti e manager ma sarà esacerbata ulteriormente dalla necessità che a prevalere siano o gli interessi dei lavoratori o quelli del profitto.

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