Sanità pubblica: 30 anni di attacchi

Sanità pubblica: 30 anni di attacchi

Se oggi abbiamo un Servizio sanitario nazionale lo dobbiamo alle lotte degli anni ’60 e ’70, che oltre allo
Statuto dei lavoratori portarono alla nascita dei consultori, alla difesa del diritto al divorzio, alla tutela per le
lavoratrici madri, alla Legge 194 (diritto all’aborto) alla Legge Basaglia e, con la legge 833, all’istituzione del
Servizio sanitario nazionale (Ssn) che sostituì le precedenti mutue, sistemi assicurativi per le diverse
categorie di lavoro.a
Il Ssn si basava sul principio dell’universalità del diritto alla salute e dunque della sua gratuità, le principali
competenze erano in capo allo Stato. Attraverso le Unità sanitarie locali e i Distretti,
i diversi presìdi che ad esse si riferivano, facevano fronte
alle esigenze socio sanitarie dei cittadini.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), alla fine del secolo scorso, definì il Ssn italiano il secondo
sistema sanitario al mondo per accesso alle cure pubbliche per i cittadini.
Negli ultimi 30 anni la borghesia ha condotto una guerra incessante contro il Ssn.


AZIENDALIZZAZIONE, REGIONALIZZAZIONE, PRIVATIZZAZIONE

La gratuità saltò ben presto. Nel 1989 il governo De Mita istituì i primi ticket per far pagare alcune
prestazioni, poi più volte estesi e aumentati. Ai ticket sono seguiti, nel 2011, i superticket di ambito di
applicazione regionale.
Nel 1992 il governo Amato, mise in piedi una pesante controriforma che attribuì importanti funzioni alle
Regioni nel campo della programmazione e del finanziamento delle politiche sanitarie. Fu l’inizio della
regionalizzazione della sanità che andò avanti con la Bassanini e le modifiche alla Costituzione. Un processo
che ha condotto alla situazione per la quale, è ormai riconosciuto da tutti, esistono 21 sistemi regionali (2 per
le province autonome del Trentino Alto Adige), con condizioni e modelli molto diversi da territorio e territorio. Il
“turismo sanitario” è una delle principali ragioni di mobilità, in particolare dal Mezzogiorno al Nord del paese.
Lo stesso provvedimento nel ‘92, il cui padre fu il ministro De Lorenzo, di lì a poco stato coinvolto
nell’inchiesta Mani pulite, riorganizzò in senso aziendalistico la sanità pubblica. Le Usl divennero aziende,
dotate di “autonomia imprenditoriale” e gestite con criteri di mercato.
Era l’epoca dell’apertura al privato che di fatto veniva equiparato alla sanità pubblica attraverso il
meccanismo dell’accreditamento. Si diceva allora che la sanità pubblica non teneva dal punto di vista
finanziario, e il privato sarebbe stato solo la “seconda gamba” di un sistema, quello pubblico appunto, che
sarebbe rimasto il principale pilastro.
Oggi in diverse regioni d’Italia, tra cui le più popolate Lombardia e Lazio, il 50% dei servizi sanitari è
erogato da strutture private. Mediamente la media nazionale è attorno al 40%. Il privato vive letteralmente
parassitando il sistema pubblico, tanto che oggi, il 96% dei ricavi delle aziende associate ad Aiop,
l’associazione delle case di cura private collegata a Confindustria, derivano da prestazioni tariffarie del Ssn.
Nel 2018 inoltre gli italiani hanno speso di tasca propria 40 miliardi di euro per acquistare beni e prestazioni
sanitarie private.
Alla faccia della sbandierata efficienza, su questo sistema hanno prosperato lobby affaristico-politiche
come la Compagnia delle opere e Cl in Lombardia e in generale il cosiddetto “privato sociale”, compreso il
mondo cooperativo, per non parlare delle infiltrazioni della criminalità, che hanno generato una serie infinita
di inchieste e scandali.

TAGLI, TAGLI, TAGLI!

La storia delle manovre finanziarie in Italia coincide con i tagli alla sanità. Questo è ancora più vero
nell’ultimo decennio. Con la riduzione sistematica, anno dopo anno sono stati tagliati 37 miliardi rispetto ai
finanziamenti precedentemente deliberati.
La spesa statale per il Ssn è diminuita dell’8,8% dal 2010. Attualmente è pari al 6,5% del Pil (Germania
9,5%, Francia 9,3%).
11 milioni di persone in Italia non vedono garantito il proprio diritto alla salute.
Un intero capitolo andrebbe scritto sulla catena di chiusure, accorpamenti e impoverimento dei servizi
territoriali.
Nel 2014 la ministra Lorenzin del governo Renzi produsse un taglio ai posti letto (pl) per il periodo 2014-16,
regolamentando una quota di 3,7 pl ogni mille abitanti (la media europea è di 5). La quota che comprendeva
0,7 pl per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie. Complessivamente, negli ultimi 10 anni si sono
persi 70mila posti letto.
Dagli anni ‘80 la capacità negli ospedali per le patologie acute è stata tagliata dei due terzi. Nel 1980 erano
disponibili 922 posti letto nei reparti acuti ogni 100mila abitanti, nel 2017 erano 262 (fonte who-eurostat).
I posti letto dedicati alle terapie intensive sono complessivamente (pubblico e privato) 5.100, una cifra ridicola

per far fronte a qualsiasi emergenza sanitaria. Nella regione Calabria ve ne sono “disponibili” solo 107, nella
città di Crotone solo i 4 del nosocomio Di Dio.
La riduzione del personale è stata la ciliegina sulla torta. Dal 2009 al 2017, infatti, il comparto sanità ha
subito una riduzione del personale in servizio del 5,2%, ossia oltre 46.500 lavoratori in meno.

E IL PRIVATO INGRASSA

E così la sanità, da parte significativa di uno stato sociale pubblico diventa un mercato da cui trarre notevoli
profitti. Alla sanità privata accreditata si aggiunge il settore della sanità privata non accreditata, quella che fa
ingenti profitti mediante le assicurazioni. Un giro d’affari di 5,8 miliardi di euro l’anno. Ci riferiamo al mondo dei
fondi integrativi, che in questi anni hanno preso piede anche grazie alla normativa e ai contratti nazionali
sottoscritti dalle organizzazioni sindacali. Più di 11 milioni di lavoratori e loro familiari, accedono a prestazioni
sanitarie mediante l’utilizzo di parte del loro salario che le aziende trasformano in servizi.
Una gallina dalle uova d’oro che ha visto nel corso degli anni il favore da parte di tutti i governi che hanno
defiscalizzato tale strumento fino a giungere alla completa defiscalizzazione messa in atto dal governo Renzi.
Oggi questa realtà esplode in modo drammatico sui cittadini e su tutti gli operatori della sanità pubblica.
Una cosa è certa: questa emergenza avrà tra le sue conseguenze più importanti quella di spazzare via il mito
del privato e getterà le basi per un movimento di massa che lotterà per un sistema sanitario universale e
pubblico. Un movimento in cui gli stessi lavoratori del settore saranno in prima fila,
e noi con loro!